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F.T. Marinetti
L' AREOPLANO DEL PAPA

Romanzo profetico in versi liberi

Pubblicato in francese
nel 1912, " Tradotto (scopo propaganda) oggi 1914" per le Edizioni Futuriste di Poesia, Milano 1914

INDICE

   1.–Volando sulla Sicilia, nuovo cuore d’Italia
   2.–I consigli del Vulcano
   3.–Nei dominii di mio padre, il Vulcano
   4.–Le batterie dei soli
   5.–La pesca della Gran Foca verniciata
   6.–I mosconi politici
   7.–I sindacati pacifisti
   8.–Volando con la luna
   9.–L’esecrabile sonno
  10.–I collari del tempo e dello spazio
  11.–La battaglia di Monfalcone o la Tomba dei Papi

1.VOLANDO SULLA SICILIA
  NUOVO CUORE D’ITALIA.

  Orrore del tetro cubo della mia camera
  da sei lati chiusa come una bara!
  Orrore della Terra, vischio sinistro alle mie zampe d’uccello!
  Oh! salire! Salire…. fuggire in alto e lontano!

  Dalla breccia della parete, scoppiata subitamente,
  il mio gran monoplano dalle aperte ali bianche
  fiuta l’azzurro del cielo….
  Davanti a me, l’acciaio con sfolgorante fragore
  dilacera la luce, e la febbre
  cerebrale della mia elica
  espande nell’aria il suo rombo.
  Sulle mie ruote ragionanti io tutto vibro danzando,
  e mi schiaffeggia il folle vento dell’estro!
  I meccanici intanto, nel buio
  logico della mia camera,
  per la coda trattengono elasticamente
  la mia ansia di volo,
  come si tiene a guinzaglio un cervo volante….
  Via! Lasciatemi! Parto!

  E alfine–oh! gioia possente!–io mi sento
  quello che sono veramente:
  un grande albero insorto che si sradica
  con uno scatto di volontà e si slancia
  via sul suo aperto fogliame stormente,
  scagliando contro il vento
  la turbinante matassa delle sue folte radici!

  Sento il mio petto aprirsi come un gran buco
  ove tutto l’azzurro del cielo deliziosamente s’ingolfi,
  liscio, fresco e torrenziale!
  Sono una finestra aperta innamorata del Sole,
  che verso il Sole s’invola!
  Chi ancora potrà rattenere
  le finestre affamate di nuvole
  e i balconi briachi dì luce.
  che stasera si strappano dai vecchi muri delle case
  per balzar su nello spazio?
  Ho alfine riacquistato il mio massiccio coraggio
  dacchè i miei piedi vegetali,
  non pompano più dalla terra prudente
  l’avaro succo della paura!
  In alto! Nel cielo più alto! Ecco m’appoggio
  sulle elastiche leggi dell’aria….
  Ah! ah! son già sospeso a picco sulla città
  e sul casalingo disordine
  dei suoi palazzi disposti come utile mobilia….
  Ora dondolo appena, come una lampada accesa
  sulla piazza centrale, tavola apparecchiata
  dai numerosi piatti fumanti che si muovon da soli,
  fra uno scintillìo dì bicchieri
  sfilanti elettricamente!

  L’ultimo proiettile del sole al tramonto
  colpisce me, uccello coperto dì sangue,
  ma che non cade…. ed io salto
  da ramo a ramo
  sull’enorme foresta illusoria dei fumi
  che salgono dalle officine….

  Più in alto! Più lontano! Volo fuor dalle mura!
  Ed ecco una gazzarra di croci ammutinate,
  là, tra le file arcigne dei cipressi gendarmi….
  I giardinetti sepolcrali hanno grida
  rosse e verdi, ed i candidi marmi
  sembrano mille fazzoletti agitati!
  Seguirmi a volo vorrebbero i morti stasera….
  Stasera i morti son ebbri, son gai….
  Come voi, morti, ero morto, ed eccomi risuscitato!

  Il cielo è tutto appestato
  dall’olio di ricino del mio motore!
  Ne ho sulla bocca, sul naso, sugli occhi…. Una doccia!i
  Stomaco mio volante, non fare lo schizzinoso!
  Bisogna pure che paghi il tuo viaggio
  con un poco di nausea!
  E vomita, vomita pure, stomaco mio, sulla terra!
  È l’ultima zavorra che getterò per salire
  e per giocar leggermente a saltamontone
  sulle schiene villose dello montagne!…
  Campagne geometriche! Quadrati innumerevoli
  di campi arati, di vigne e di prati!
  Son tombe di giganti?
  Intorno a ognuna il sole accende lentamente
  quattro file di verdi candelabri….

  Destatevi, tranquille fattorie!
  Aprite, aprite le ali rosse dei vostri tetti,
  per volare con me verso il tuo battito forte, o Sicilia,
  nuovo cuore d’Italia, balzato fuori dal suo petto
  nello slancio delle conquiste!…

  Alfine, alfine m’è dato d’entrare
  nel rosso del tramonto, come un conquistatore,
  su fra le rampicanti architetture
  della città futura, tutta d’orgoglio e metallo,
  che le sottili e precise matite delle nuvole
  minuziosamente disegnarono
  nel mio sognante cervello di adolescente!…
  E alfine faccio scalo nei golfi di porpora
  d’ un continente aereo….

 

  Un vasto odore salato?… Il mare! Il mare!…
  Il mare: innumeri schiere
  di donne turchine che si svestono!…
  Vedo la schiuma delle loro gracili nudità intrecciate,
  chine a bere l’ultima inebbriante sorsata di luce
  nel tondo deserto del cielo!
  E lasciatemi ridere di voi,
  lenti velieri boccheggianti,
  simili a insetti a zampe all’aria che non possono
  nè mai potranno–lasciatemi ridere!–
  rimetter sul suolo le zampe!

  Pretensiosi isolotti dalle pompose vestì di smeraldo,
  voi non siete per me se non larghi fiori palustri,
  piatti sull’acqua, corrosi da grasse mosche nerastre,
  Già come un turbine vi sorpasso,
  e con la mano accarezzo velocissimamente
  il globo immenso dell’atmosfera,
  enorme dorso del massacrante pericolo
  che mi separa dal mare!…
  Vedo e sento, giù in fondo, a picco sotto i miei piedi,
  lo spaventevole urto possibile,
  contro il petto del mare, più duro della pietra!…
  Oh gioia! oh gioia!… Bisogna pure ch’io lasci
  un istante le leve, per batter le mani alla Squadra!
  Sono venti tartarughe favolose, immote sotto di me,
  con gole di cannoni protese
  fuori dai gusci metallici,
  e tutt’intorno il guizzare delle torpediniere
  e delle barche-rospi, che sgambettano
  sui loro piccoli remi folleggianti!…
  I marinai sulle tolde sono schiacciati e tondi;
  i loro volti seguono i miei applausi
  come talvolta seguono gli stridi turchini
  degli uccelli migranti….
  Le larghe corazzate ora tacciono,
  ma un giorno, ma presto, riparleranno terribili
  con la loro esplodente eloquenza a ventaglio
  sullo smalto spazzato del nostro lago Adriatico!…

  Ah! ah! cupo vento africano,
  vento balordo dalle lentezze ipocrite!…
  stai forse spiando le mie distrazioni?
  Io non mi curo di vincere la tua deriva insidiosa.
  Voglio lasciarti fare, e approfittare di te!
  M’involo fra le tue braccia filacciose e bagnate.
  A mille metri sotto le mie ali
  il mare s’annera di rabbia!… Ritorniamo alla terra!

  Ma ha dunque un odore, la terra?,
  Non sento un fetore di tomba?… Che è mai?…
  Mi chino sulla bussola fino a toccarla col naso,
  e non leggo, e non so….

  È Roma, è Roma, questo sepolcrale fetore!…
  Roma, la mia capitale!… Roma, immensa topaia,
  gran mucchio di cartacce, lugubremente colonizzato
  da migliaia dì sorci, di tarli, di scarafaggi ufficiali!
  Le cupole, gonfie pance di giganti, galleggiano
  nei vapori violetti del crepuscolo,
  qua e là forati da campanili d’oro,
  pugnali dritti che vibrano ancora nelle loro ferite sonore…

  Mi seguono dei treni? Non è vero!

  Sono piuttosto veloci serpenti dai lucidi anelli,
  sono serpenti che nuotano con lunghi balzi in cadenza
  contro le enormi onde aggressive dei boschi,
  e si tuffano nel flusso e riflusso dei monti….

  I treni-serpenti sì fermano
  di tanto in tanto ad annusare i villaggi,
  livide carogne, e ne succhiano
  con le loro rosse ventose
  un brulichìo fosforeo d’insetti….

  Ah! che io sia un fulminante veleno,
  nel vostro agile ventre, o serpenti,
  quando voi balzerete feroci alla frontiera!

  Gloria a voi, treni-serpenti che approfittate dell’ombra
  per impadronirvi di tutta la terra!
  Invano, invano la luna vi accarezza, beffandovi
  con le sue lunghe derisionì di luce!
  Invano, invano la luna allunga il braccio lucente
  del suo raggio più lascivo, per scoprire
  la nudità dormente e sospirante dei fiumi!
  Oh! luna triste, sonnolenta e passatista,
  che vuoi mai ch’io mi faccia
  di quelle meschine pozzanghere rimaste dal diluvio?!
  Io ti cancello d’un tratto, accendendo
  il mio bel riflettore dall’ampio raggio elettrico,
  più nuovo, più bianco del tuo!…
  S’abbandona il mio raggio sulle terrazze,
  inonda i balconi in amore,
  e fruga negli offerti lettucci delle vergini….
  Il raggio vagabondo del mio gran riflettore
  incendia di battaglia e d’eroismo
  i mormoranti ruscelli delle loro vene dormenti….
  Ma basta!… Ho di meglio da fare!…
  Vento caparbio, lasciami! Giù le zampe!…
  Ritorno al mare…. al mare!…

  Il mare e il suo gran popolo prigioniero
  che urla tra mura di ferro!…
  Vedo i fari, le sue sentinelle,
  ritti e più terribili perché tacciono,
  violenti e immensi nella tenebra immensa.
  Alcuni spingono ovunque
  sguardi di cacciatori affaccendati,
  altri chinano sui flutti le loro aste d’oro,
  pescatori dalle lenze luminose….
  O fari, o poveri pescatori disillusi!
  che mai volete da questo mare vuotato?
  Alzate la testa, e guardate:
  tutti i pesci d’oro grasso che cercate
  guizzano lassù nel cielo!…
  A me piace intanto volare cosi,
  come una greve farfalla,
  acciecando con gesti e con grida
  la dolorosa pupilla di un faro pescatore,
  senza bruciarmivi le ali!…

  Attenti ai ciottoli, voi, bastimenti assonnati
  che rotolate pei colli e le valli del mare
  sulle vivide zampe dei cento riflessi
  delle vostre rosse troniere!
  Pietà dei vostri fanali impalati sugli alberi,
  pietà del loro sguardo
  sofferente, estenuato, che sospira
  verso l’acqua melmosa e cortese dei porti….
  Pietà di voi, sballottati così
  dal mare o dal vento che fa turbinare
  sulle vostre vele piangenti
  le vôlte agitate della sua bocca slabbrata!

  Ecco laggiù dei bastimenti in fuga….
  Sembrano officine volanti, fumanti,
  con le vetriere in fiamme, officine
  subitamente sradicate intere
  dalla forza violenta d’un ciclone…
  Filano via sulla nerezza animata del mare.
  E quella nave, là in fondo, sembra…. che sembra?
  Ah! ecco! Un gran mulino per macinare le stelle!
  Pompano il cielo i suoi alberi, e dalle rosse troniere
  una farina siderale tutt’intorno si spande,
  Ma io devo resistere ai colpi del vento contrario
  che vorrebbe arrestarmi,
  e rullo, e beccheggio, in equilibrio sull’ali,
  maneggiando il volante e i due timoni.
  Con un colpo di pompa costringo
  il mio motore saziato
  a far le fusa melodicamente….
  E tu, mio buon carburatore, spalàncati
  e gronda come una ferita d’eroe!
  Ah! finalmente il mio cuore, il mio gran cuore futurista
  ha vinto la sua aspra millenaria battaglia
  contro le sbarre del torace!
  M’è balzato fuori dal petto, il mio cuore,
  ed è lui, ed è lui, che mi solleva e mi porta,
  col suo turbine sanguinolento d’arterie,
  elica spaventosa che gira vertiginosamente!

  Son fuso col mio monoplano,
  sono il trapano enorme, ronzante,
  che fora la scorza pietrificata della notte,
  Più forte! Più forte!… In tondo, bisogna scavare
  o profondamente, in questa fibra nera
  cementata dai secoli!
  Dovrò forse ancora
  per molto tempo sbattere le ali
  come un avoltoio inchiodato sulla porta del cielo?
  Questo punto resiste? Cerchiamo più in alto! Infrangiamola
  triste vetrata dell’alba giallente!…
  Elica! Elica forte del mio cuore monoplano!
  Trivello formidabile, entusiasta e prepotente!
  Non senti scricchiolare le esecrabili tenebre
  sotto il tuo sforzo tagliente?
  Già la scorza nerastra si fa diafana….
  Avanti! Più presto! Che rabbia! Resiste?…
  Su! ancòra un grande sforzo! Ancòra! Ancòra!
  Abbiamo vinto, ormai! Tutto sta per crollare!
  Urrà! Un grande sfacelo dì porpora empie lo spazio
  sull’arco illimitato dell’orizzonte,
  e il sole, enorme frutto succoso,
  balza subitamente con gioia radiosa
  fuori dal guscio molliccio dell’ombra!…

  Palermitani! Mi vedete venire?
  Sono io! Sono io! Applauditemi! Sono dei vostri!
  Sembra il mio monoplano
  un gigantesco uomo bianco
  ritto sul trampolino delle nuvole,
  che aperte lo braccia, si chini
  per tuffarsi repente nella vostra fremente
  aurora siciliana!

  In quella rada violacea bagnata di silenzio
  un villaggio dormente
  si tira ancora sugli occhi dei suoi vetri vermigli
  il serico morbido azzurro lenzuolo delle onde,
  E quell’altro villaggio,
  come un pezzo di ferro arroventato dal sole fuma e stride
  fra le cangianti tenaglie del mare.

  Urrà! Urrà! le giovani campane di Palermo
  mi hanno già scôrto e allegramente si slanciano
  sulle loro infantili altalene,
  dondolandosi forte avanti o indietro
  per ventilare le loro ronzanti gonne di bronzo
  e le loro gambe frenetiche,
  ebbre d’un desiderio sfrenato dì libertà,
  Eccomi! Eccomi qua, campane di Palermo!
  Per godere dei vostri lunghi slanci sonori,
  io tolgo l’accensione e filo verso di voi,
  come un lungo canotto bianco
  che sollevi la sua doppia fila di remi
  nel giungere alla mèta dì una regata,

  Tu m’appari da lungi, Palermo,
  come un formidabile arsenale
  difeso a destra e a sinistra dalle mura dei monti.
  Quella tua lunga strada in pendìo che si tuffa nel mare
  fa con la doppia linea delle sue bianche terrazze
  un enorme cantiere,
  su cui può scivolare la _dreadnought_ ideale
  che sgombra l’orizzonte!
  Giù nella strada profonda l’andirivieni febbrile
  dei calefati, e su in alto il lacerarsi soave
  delle brezze color di rosa!

  O Siciliani! O voi, che fin dai tempi brumosi
  notte e giorno lottate a corpo a corpo
  coll’ira dei vulcani,
  amo le vostro animo che fiammeggiano
  come folli propaggini del fuoco centrale!

  Voi mi somigliate, Saraceni d’Italia
  dal naso possente e ricurvo sulla preda afferrata
  con forti denti futuristi!
  Ho come voi le guancie bruciate dal simùn,
  l’incedere elastico dei felini tra l’erbe,
  e lo sguardo che batte e respinge nell’ombra
  le schiene viscose, furtive, del poliziotto e dello scaccino!
  Voi schiudete con gioia le trappole bieche
  come noi le schiudiamo!
  Rodano pure i sorci i nostri manoscritti,
  poi che questo volante motore
  scrive nel cielo più alto strofe d’oro e d’acciaio,
  lucenti e definitive!
  Ognuno dì voi sa fare un’altera giustizia
  intorno al suo grande Io dominatore e indomabile.
  E la pesante macchina sociale vi fa schifo,
  vi fa pietà la triste meccanica delle leggi
  col suo troppo esiguo rendimento dì giustizia!
  Meccanica infantile, dalle ruote sommarie,
  che bruscamente afferra un tremulo pezzente,
  lo stritola, lo schiaccia, lo spreme stupidamente
  e poi dalla finestra lo getta
  come una buccia fradicia,
  in nome d’un’invisibile maestà!

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2 I CONSIGLI DEL VULCANO.

  Io vengo a te, Vulcano, e mi burlo
  delle tue furibonde sghignazzate da ventriloquo.
  Credimi: io non sono in tua balìa!
  Vorresti, lo so, imprigionarmi
  nelle tue reti di lava,
  come fai con i giovani sognatori ambiziosi
  quando affrontano sui tuoi fianchi
  l’orribile tristezza dell’enorme tramonto
  che si sganascia a ridere a crepapelle, talvolta,
  in un gran terremoto!
  lo non temo nè i simboli, nè le minacce dello spazio
  che può a piacer suo seppellire le città
  sotto mucchi di rame o di oro o di grumi di sangue!

  Io sono il futurista possente e invincibile
  tratto in alto da un cuore instancabile e folle.
  È perciò che mi siedo alla tavola dell’Aurora,
  per saziarmi alla sua mostra dì frutti multicolori.
  Schiaccio i meriggi, fumanti piramidi di bombe,
  scavalco i tramonti, eserciti sanguinanti in fuga,
  e mi trascino dietro
  i singhiozzanti crepuscoli nostalgici..

  Etna! chi mai potrà danzare meglio dì me;
  e dondolarsi sulla tua bocca fiera
  che mugghia a mille metri sotto i miei piedi?…
  Ecco io scendo e m’immergo nel tuo fiato solfidrico
  tra i globi colossali dei tuoi fumi rossigni,
  e odo il pesante rimbombo echeggiante
  del tuo stomaco vasto che frana
  sordamente come una capitale sotterranea.
  Invano, la rabbia carbonosa della terra
  vorrebbe respingermi in cielo!
  Io tengo ben strette fra le dita le leve,
  mentre urlo:

      __Io.__

  O Vulcano!
  smaschera la tua faccia dalle verruche di fosforo!
  Metti in moto i tuoi muscoli boccali,
  apri le tue labbra rocciose incrostate di graniti,
  e gridami, gridami quale è il destino,
  quali sono i doveri che s’impongono alla mia razza!
  Ridesta la spaventevole risonanza
  dei tuoi polmoni fuligginosi!
  Io sono agile e forte, e so costringere i venti
  a pigolare paurosamente sotto le mie ali,
  come pulcini….
  Ammira, ammira le mie ali che sembrano immense,
  annegate, laggiù, nelle spirali corrucciate dei vapori celesti.

  Vedo il mio stabilizzatore, dietro di me lontanissimo,
  e il mio timone, che s’insanguinano
  alla conflagrazione riverberata delle tue viscere,
  La mia tela vibra monotona come un tamburo
  sotto la danza aerea dei rosei tizzoni…
  Bucato infernale in cui tutto si decompone!

  Come un fumatore sbuffa il fumo d’un sigaro,
  così con un soffio rude tu allontani, o Vulcano,
  il tuo bianco pennacchio imponente,
  con disinvoltura.
  Il mio orizzonte è sbarrato da1 tutte le parti
  dalla contorsione enorme
  delle tue mascelle scoppiate, goccianti di bragia!

  Io sono in mezzo, nello squarcio sinistro
  delle tue labbra più alte e più grosse
  che le montagne….
  E scendo ancora, guardando intorno a me
  le tue mostruose gengive rigonfie….
  Che è mai questa flora dì molli fumacchi
  che tu vorresti masticare
  come grossi baffi azzurri?…
  Ecco: già il rauco imbuto della tua gola
  m’appare come un teatro incendiato,
  d’un’ampiezza incalcolabile,
  dove furono invitati tutti i popoli della terra,
  che possono a piacer loro sedervisi comodamente.
  Tutte le gradinate
  brulicano di folla festante.
  Vi si accalcano gesticolando
  più di un miliardo di fiamme
  spettatrici entusiaste
  che applaudono e gridano diversamente
  un miliardo di spasimi erotici.
  Sulla confusione rossastra spiccano a un tratto
  con sparati violacei
  delle esplosioni di gas
  apoplettiche e panciute.
  Più lontano, gialli vapori isterici
  sotto i loro improvvisi cappelli verdi
  scoccano raggi appassionati,
  teneri, e subitamente beffardi.

  Che è quella fiamma che si diverte e ride
  tutta inguainata di velluto lillà
  e che sa così bene lanciare parabolicamente
  il suo cappello arancione, sôrto e svanito a un tratto,
  verso lo spettacolo dogli spettacoli, che comincia?
  Nella platea del teatro, che può misurare
  più di venti chilometri di diametro,
  si spiega largamente
  un invitante mare di fuoco
  qua o là increspato d’ombra e tinto frescamente
  di corallo e dì guancie infantili,
  con dei lunghi sussulti di grida bianche.

  È dunque lo schiacciante fragore d’un’incudìne,
  che va alzando più e più la superficie irradiante
  di questo mare di fuoco?
  Fiumi, fiumane e ruscelli splendenti accorrono a gara,
  traboccanti di verghe d’oro,
  per nutrirlo colando dai crepacci eloquenti
  che s’aprono qua e là, lungo le gradinate
  fra l’ondeggiante mèsse
  delle fiamme e dei gas spettatori.
  Fra la corpulenza delle rocce congestionate,
  fiamme e gas si dimenano in baldoria….
  Tutto quello strano pubblico cremisi
  è trascinato confusamente dallo slancio veemente
  dei gesti che applaudono,
  verso la gola, verso il cuore, verso il centro
  del cratere, imbuto e circo ardente.

  E quel mare di fuoco s’immobilizza e s’impietra.
  A mucchi di grumi e d’isolotti cuciti, fusi,
  e per rapide alluvioni d’agate e di rubini,
  forma un continente vermiglio, abbagliante….
  Tutt’intorno, sul mare di bragia
  galleggia una flottiglia
  spiegando le sue vele che riflettono.
  tutti i brillanti colori della lava.
  Il continente si lastrica a poco a poco di crisoliti,
  ed ecco a un tratto spaccato il selciato
  dalla meravigliante caduta di 3000 leoni,
  che piombano dal cielo, cateratta d’odio,
  cacciando fuori dalle loro nari d’officina
  chiassose fontane di perle e dì mica.
  Matassa furibonda, foresta di zampe e criniere incendiarie.
  Una sola potrebbe carbonizzare 3 città,
  dipingere a fresco il livido cielo del polo,
  e scaldare le guancie delle stelle invernali.

  Scossone viscerale della terra!
  Tutte le melagrane d’Italia accumulate,
  sanguinolenza d’un macello incendiato,
  tromba girante di groppe
  incastrate l’una nell’altra!
  Piramide enorme d’urli neri,
  percorsa dall’alto in basso da singhiozzi bambini
  e barcollante nella ronda delle pallide paure!
  È forse il nostro pianeta insanguinato,
  da centomila battaglie,
  che ruzzola lontano sotto il binocolo
  d’un abitante di Marte?…

  Eh! via! Queste apparenze o queste realtà
  sono a portata di mano!…
  Ho, per esempio, fra le dita
  questo sole illusorio, scaglioso, capelluto,
  formato di 3000 belve che si mordono…
  Io ben potrei soppesarlo, mentre cala
  nel cratere drammatico di questo vulcano…

  Ora mi vedo annìmbato
  d’una sontuosa polvere fosforea…
  Ardo e mi fondo come un metallo,
  in mezzo a incessanti combustioni d’idrogeno.
  Ohe è mai questo formidabile schianto?
  Certo sono lo ossa dei 3000 leoni, che scricchiolano
  sfracellate sotto pezzi di monti!…
  Si propaga intanto
  la meticolosa carneficina delle belve.
  Tutte le loro zanne d’avorio crescono, s’esagerano,
  ricoprono d’un bianco graticcio
  la poltiglia scarlatta e i suoi rantoli che schizzano orrore,
  Son zanne immensificate, o sono invece
  candidi fumi?… No! no….
  È avorio, veramente, poiché infatti
  proboscidi d’elefanti ora partecipano alla rissa.
  Degli elefanti vanno posando
  qua e là le loro zampe, obelischi,
  diguazzando nella salsa gialla di quel liquido zolfo
  ed in quel tumulto rosso di grappoli d’uva
  che frana agli angoli e sprizza altissimo
  in corolle di vino,
  per inaffiare gli spettatori….

  Sopra la vendemmia calpestata,
  scivolano veloci in equilibrio su fili invisibili
  i fumi variopinti, come clowns,
  scaricando a destra o a sinistra le loro rivoltelle,
  che esasperano l’inaudita follia
  dei colori inviperiti!…

  O Vulcano! il tuo spettacolo m’inebbria,
  Scendo più basso per contemplarlo meglio….
  Ho alle reni la mia cintura di salvataggio.
  e posso ben nuotare, se me ne prende vaghezza,
  in questo tenero e fresco mare di fuoco.
  Ohi mai, chi mai seppe dunque annientare con un soffio
  i continenti di porpora
  e i liquefatti grovigli di leoni?

  Lentamente, fuori dalle palpitanti ferite delle onde,
  emergono le chiglie mostruose di tre nere corazzate,
  masticate o rimasticate, e respinte alla superficie
  dall’insolenza delle profondità sottomarine.
  Lentamente, a uno a uno i tre vascelli da guerra
  ricominciano a vivere con lunghi brividi.
  Riannodano le loro membra morte,
  raddrizzano la loro alberatura e s’equilibrano,
  mentre le caldaie che s’accendono
  mettono in moto le larghe torri d’acciaio.

  Il mal di mare afferra alle budella i cannoni
  che sussultano con un continuo vomito di piombo.
  Sono grugnì irti dì scintille,
  che grugniscono sputando in bordate accanite
  silicati, cristalli e blocchi vitrei
  sugli scherzosi tuffi, e l’incrociarsi
  delle torpediniere e dei pescicani.

  Questi bizzarramente si mutano in isole fragili
  intermittenti, rapide apparse e rapide scomparse,
  che lottano contro le onde succhianti!
  Frattanto una corazzata sì sventra e cola a picco
  facendo scoppiare la santabarbara del suo cuore
  che s’apre, mugghiante braciere, contro il cielo.
  Già non è più che un inaffiatoio vagabondo
  di liquido azzurro, ventaglio di frescura.

  Io sono finalmente nel paradiso degli alberi violetti
  che si lamentano sotto il peso
  delle troppo larghe stelle in fiore
  e di troppo grevi lampi, farfalle accanite
  che suggono la luce.
  Quel paradiso è allacciato da tutte le parti
  da tonde cascate di smeraldi colanti.
  È la tua anima, o Vulcano, che si slancia nel mezzo,
  con un enorme getto d’argento vivo pulverulento
  la cui forza verticale resiste
  ai colpi raddoppiati della raffica?

  O Vulcano, io odo da molto tempo
  il rotolare continuo della tua voce turbolenta
  che freme nel rauco camino della tua gola,
  E tanto mi dimentico a contemplare
  l’eruzione delle tue parole arroventate,
  che non ho ancora sgrovigliata
  la sfolgorante matassa del tuo pensiero!

  Oh! la maestrìa e l’ispirazione
  che il tuono scoppiante della tua voce palesa
  sulle torride pareti del tuo studio d’artista!
  Con questi massi di gesso fumante scolpisci
  mostri simbolici e grandi bassorilievi
  acciecanti di luce, che potrebbero spiegare
  subitamente, quali comete,
  un fogliame di raggi sull’insonnia dell’oceano!…

  Odo finalmente una parola! Una formidabile parola
  si gonfia e balza fuori dalla tua bocca,
  in pieno cielo, alla cima d’un lungo tubo
  di nerissimo fumo,
  simile a quei molli globi di vetro in fusione
  che i vetrai soffiano, gonfiando le gote,
  tra la furia incandescente d’una vetreria!

      __Il Vulcano.__

  Io non ho mai dormito, Lavoro senza fine
  per arricchire lo spazio d’effimeri capolavori!
  Io veglio alla cottura delle rocce cesellate
  e alla vitrificazione policroma delle sabbie,
  così che fra le mie dita le argille
  si trasformano in ideali porcellane rosate
  che io frango coi miei buffetti di vapore!

  Sono incessantemente commisto alle mie scorie.
  La mia vita è la fusione perpetua dei miei frantumi.
  Distruggo per creare ed ancora distruggo
  per modellare statue tonanti
  che subito spezzo con lo schifo e il terrore
  di vederle durare!

  Il sole d’oro pesante che le tenebre scatenano
  ogni mattina, e che a stento s’innalza
  sui monti di Calabria,
  proietta invano il cono della mia ombra opprimente
  fino al centro della Sicilia,
  per seminare in giro spavento e prudenza.
  Ognuno ha la speranza dì sapermi domato
  come una grossa bestia morfinizzata.
  Il mio vello d’ermellino e la mìa bianca criniera
  sono pegni d’innocenza e di lenta agonìa.

  Ho per complice lo stretto di Messina
  che sonnecchia all’alba, allungato bianco e lìscio
  come un gatto d’Àngora….
  Ho per complice lo stretto dì Messina,
  col suo aspetto stanco dì materasso di seta
  color turchese,
  e con le dolci parole arabe ricamate
  dalle scie delle nuvole e delle pigre vele,
  tessute, suppongo, in silenzio,
  con un filo d’argento sulla veste del mare.
  Ho per complice la luna menzognera,
  la più imbellettata delle cortigiane siderali,
  che in nessun luogo mai è tanto carezzevole,
  lusinghiera e persuasiva.

  In nessun luogo mai la luna è così attenta
  a sedurre i rossi e duri fanali dei piroscafi,
  passanti burberi che se ne vanno
  con un grosso sigaro tra i denti
  cacciando fumo contro l’azzurro.

  In nessun luogo mai la luna versa una così tenera
  e molle cenere violetta,
  per ammorbidire la lava ossificata
  delle case nere aggrappate ai miei fianchi.
  In nessun luogo mai la luna ha così commoventi
  inondazioni d’estasi o di luce
  sulle incisioni dei sentieri
  fatte dal mio fuoco chirurgo.

  Guai a coloro che seguono la luce belante
  della luna e i lamentevoli clarini delle mandre,
  e i flauti amari dei pastori,
  che perdono vìa per l’azzurro i lunghissimi filamenti
  dei loro suoni nostalgici!
  Guai a coloro che rifiutarono
  d’accordare il galoppo del loro sangue
  al galoppo del mio, devastere.

  Guaì a coloro che vogliono far metter radici
  ai loro cuori, ai loro piedi, alle loro case,
  con un’avara speranza d’eternità!
  Non costruire, si deve, ma accamparsi.
  Non ho io forse la forma d’una tenda
  la cui cima troncata dà fiato alle mie collere?
  Io amo solo gli astri, snelli equilibristi
  che stanno ritti sulle sfere rotolanti
  dei miei fumi giocolieri!…

      __Io.__

  Io so ballare come questi
  e far bei giochi di destrezza nel cielo,
  o coprire col mio canto il fragore echeggiante
  dei tuoi uragani che si propagano
  pei profondi sotterranei!
  Inoltre, io discendo
  per ascoltare i poliedri della tua voce.
  Rallenta le scariche elettriche dei tuoi bronchi
  che spostano, laggiù, le rocce sottostanti!
  Imponi silenzio alle tue grotte loquaci
  che tremano, commosse, interminabilmente!
  Imbavaglia di spesse ceneri
  gli echi basaltici che t’applaudiscono in coro!

  Non so che farmi delle bombe vulcaniche
  con cui punteggi il brontolìo del tuo discorso!
  Che m’importa dei getti rutilanti
  della tua saliva aggressiva?
  I tuoi diluvi di fango.
  hanno insozzate le mie ali bianche,
  ma non m’arresto! Resisto
  alle valanghe delle tue scorie, e scendo giù,
  dorato, aureolato dalle tue pulverulenze
  d’oro meravigliato.

      __Il Vulcano.__

  Io devasto in giro tutti i giardini
  dei sentimenti in fiore
  e le loro ombrie, chitarre e mandolini
  che piangono fra le dita dei venti,
  cantori di serenate.
  Sconvolgo gli orti saggi
  e le insalate ben pettinate,
  ma giro intorno delicatamente
  alle foreste dai grossi tronchi temeraî
  i cui rami muscolosi hanno orrore
  della terra, e tendono pugni carbonizzati
  contro gli astri, passeri esili e pigolanti
  che vorrebbero posarvisi!…

  Guai a coloro che s’addormentano,
  adorando la traccia degli avi,
  sotto i calmi fogliami della Pace!
  Io nulla rispetto: nè le rovine
  della pietra, nè quelle della carne.
  Il mio soffio caccia a caso, a palate,
  i vinti e i vili nelle loro tombe,
  soli solchi scavati dai loro piedi,
  zappe metodiche!
  Guerra o rivolta. Scegliete!
  Sono le grandi feste del fuoco,
  di cui s’onora il mondo!
  Quale uccello presuntuoso è questo,
  o quale scialuppa aerea,
  che rèmiga al disopra della mia testa?
  Certo sei un mio figlio degenere,
  o italiano, o grumo raffreddato
  delle Lave millenarie!

  Ah! che io possa finalmente contemplare
  te ed i tuoi fratelli, ritti sulla tolda veloce
  delle torpediniere notturne,
  fra l’odio atroce delle burrasche,
  alla mercè delle raffiche d’un ciclone,
  e pure in atto di spiare i massi d’ebano,
  più neri della notte,
  che le squadre nemiche ammucchieranno nel buio!
  Che io possa vedervi trasformati a un tratto in brulotti,
  isolotti o vascelli,
  eruzione continua d’eroismo
  contro le nubi!…

  Io succhierò le pietre e la terra
  sotto i piedi degl’Italiani,
  piantatori di quercie e di palazzi….
  e voi dovrete superare il mio furore, o perire!
  Infrangerò i vostri nidi, ingenui uccelli d’Italia,
  perchè impariate a volare sulla vita!
  Con le balzanti matite delle mie lave
  cancellerò dal mondo le forme geografiche
  non colorite dalla letizia del sangue!

      __Io.__

  Urrà! Urrà! Come te
  e con te sputo, o Vulcano,
  su tutti gli usurai del nostro sangue conquistatore!
  Per piacerti, ho già gridato
  sulle cime ruggenti dell’energia umana:
  «Glorifichiamo la guerra, sola igiene del mondo!»
  Per piacerti, io libero violentemente
  dalla pace parassita
  l’Italia possente liana che presto dovrà arrampicarsi
  su su fino alle costellazioni!

  Sputiamo, sputiamo sulla Pace,
  raflesia immonda dell’isola di Giava,
  fiore enorme dalle foglie putrescenti,
  pieno d’un’acqua fetida
  in cui nuotano e si nutrono
  gl’insetti vischiosi che colonizzano
  le polpe infami dei cadaveri!

      __Il Vulcano.__

  Oh! che tutti gli echi attenti della terra
  bàcino la tua voce rossa,
  più calda della mia voce!…
  Riconosco in te il mio figlio rigenerato.
  Ed eccoti, figlio mio, sulle guancie raggianti
  il mio doppio e triplice bacio di fuoco!
  Ma dove s’è dunque cacciata la muta delle mie lave?
  Udite il mio sibilo di vapore strozzato?
  Cagne rosse dai lunghi denti corrosivi,
  qua, qua, ai miei piedi! Presto!
  Stendetevi a terra,
  davanti a quest’uomo in fiamme
  e lambite le ruote del suo bel monoplano!

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NEI DOMINII DI MIO PADRE,
  IL VULCANO.

  Ho capito, ho capito qual’è la mia missione!
  Il tuo bacio m’impone di mordere a sangue
  nella schiena montuosa della mia penisola,
  perchè subitamente s’alzi sulle zampe
  e si slanci all’assalto dell’Austria!…

  Ancora un bacio, Vulcano….
  così che mi sia dato assaporare a bocca piena
  e sentirmi sulle guancie il vasto ardore
  dei tuoi abissi! Eccomi pieno di te!
  Mi sento nelle vene e porto con me
  la porpora schiumante di tutte le aurore della terra!
  Le mie orecchie sono gonfie dell’ondulosa sinfonia
  delle tue fiamme discordanti
  che si slanciano a meraviglia
  in lunghi accordi serici….

  D’onde viene questo suono lontano e desolante
  di metallo?… Vi credevo fusi dal caldo,
  bronzi dei vecchi campanili che derido passando
  e che vorrebbero fissarmi con le loro punte,
  come una farfalla rara,
  sugli scoloriti cartoni del cielo!

  Oh! via! Si tratta di ben altro!
  Io fui lusingato, o Vulcano, dalla tua voce di bronzo,
  e ancora ondeggio da un’illusione all’altra
  nel cupo miraggio del tuo Impero di fuoco!

  O gran popolo delle fiamme,
  perchè mai simulare con la chimica turbolenta
  dei vostri febbrili accoppiamenti,
  perchè mai simulare davanti a me
  gli stomachevoli latticinî della luna,
  e a volta a volta il balzo danzante
  d’una madonna d’oro lanciata contro l’azzurro
  da un’esplosione di preghiere?
  O mio Motore! Ecco già che il Vulcano,
  per inebbriarti,
  versa copiosi torrenti di stelle!
  Ma tu non sai che farne,
  o mio Motore, mulino di pietre preziose,
  che impolveri lo spazio di nuove Vie lattee!…

  Schiocca come una frusta la tela del mio monoplano
  sulla groppa dei Venti,
  stalloni che nitriscono e scalpitano….
  E perchè guaìte, brezze scorrazzanti?
  La caccia, la caccia incomincia!… Io vengo con voi!

  A destra, a sinistra, sotto le mie ali vibranti,
  turbini nerastri sputano bestemmie,
  come cacciatori,
  e dànno fiato bruscamente ai corni,
  poichè il cervo è passato….
  Un gran cervo, più grande di una montagna,
  che porta sulla testa una intera foresta
  infocata e dorata….
  È la caccia! Affrettiamoci!

  Un altro cervo è passato, anche più grande dell’altro!
  Certo le mie pupille si sono immensificate….
  Ho per pupille le due vetrate infrante
  d’una cattedrale, e posso contemplare
  lo spettacolo partorito dal Vulcano,
  così come una roccia contempla il tramonto
  fissando sul mare
  le sue grotte spalancate….

  Spettacoli meravigliosi! Mirabolanti visioni,
  potete a gara crescere e moltiplicarvi….
  Io sono degno di voi!
  Ho visto galoppare davanti a me le montagne,
  simili a cervi mostruosi,
  e mi slancio sulla loro pista
  per addentarli alle corna impennacchiate di scintille!
  I grandi cervi dal dorso gibboso si cacciano
  nelle vaste boscaglie di fiamme violette
  che coronano le alture dell’orizzonte!…
  I boschi si trasformano….
  Son baionette, maree di baionette!
  E per me il simbolo è chiaro:
  quei grandi fiumi giallastri,
  larghe trecce di cenci color d’itterizia,
  che il vento strappa e sbatte brutalmente,
  sono bandiere austriache
  che attizzano le onde d’un mare di baionette
  inondante monti e pianure….

  Il mio motore risponde loro, aggressivo,
  ronzìo formidabile che cresce
  e si propaga negli echi,
  come il calpestìo d’un esercito in marcia.
  Nulla può trattenere la tua follia bellicosa,
  o mio monoplano da guerra!
  La tua rabbia m’inzacchera!…
  Tuttavia ti trattengo….
  Arrestiamoci–vuoi?–sulla terrazza
  di quella scogliera incandescente
  per gustare lo spettacolo sublime
  che si svolge, davanti a noi
  fuori dagli abissi inesauribili….
  Bisogna pur salutare con un «buona sera!» delirante
  quei tre scogli accosciati!…
  Vecchi gattacci di granito,
  che fate le fusa drizzando le code e le groppe
  dal pelame elettrico,
  sotto la carezza di questa giovane fiamma
  che vi blandisce, buona sera….
  buona sera, vi grido, e buona fortuna in guerra!

  Oh! come siete destri, scoiattoli di fuoco roseo
  che correte su pei rami contorti dei fumi!
  Mi auguro la vostra folle agilità
  e la vostra gaiezza bizzarra di clowns.
  Per noi, per noi soli, o Motore, fanno allegria
  quei cignali di porfido dal grugno ferrigno
  che grufolano fra l’erbe grasse dei vapori
  balzando attraverso quella boscaglia di fuoco!…

  Dove sono?… Dove sono?… Piombati, scomparsi
  in un subitaneo svenimento del suolo….
  Aspettami, buon Motore,
  e contempla in silenzio!
  Ecco un torneo magnifico di belle fiamme cavallerizze
  ritte su alti cavalli di fuoco
  che corrono in giro sì rapidi
  da sembrar privi di zampe!…
  Siamo in un circo stupefacente!

      __I teatri vulcanici.__

  Il Vulcano, gran signore, è prodigo di spettacoli.
  Voi non mi vedete, belle fiamme cavallerizze,
  nè voi, rossi tizzoni che vi cullate
  su altissimi trapezi subitamente mangiati
  dal turbine degli attori sopraggiungenti!
  Son donne nude interamente coperte
  delle loro chiome d’oro abbaglianti….
  Biondezze soavi e modulate
  di carni e di velli, e qua e là criniere
  di leoncelli trascinati pigramente a guinzaglio….
  Ad un tratto, da tutti i palchi
  di quel circo fastoso si sporgono castamente
  donne-fiamme verdi,
  intollerabilmente acide….
  Io non vi amo, poichè vi rodete d’invidia
  nel contemplare la gioia traboccante
  e l’impudicizia scorticata viva
  di quelle nudità che cantano!
  La vostra stupida gelosia
  fa crollare il vasto teatro.
  Più nulla! Io non vedo più nulla!…
  Poi, lentamente, attraverso la bruma
  s’abbozza un rossore, là giù,
  come un’immensa piaga color di rosa
  sotto molli filacce di fumo violetto….
  Tutto s’è impiccolito, ed io contemplo
  davanti a me dei fori, bocche informi
  di grotte paffute….
  Si difendono, le grotte, con i loro cespugli,
  come con lunghe mani che lavorino a maglia
  lana ardente o che intreccino
  il giunco dei bei riflessi color d’indaco!

  Urrà! L’orizzonte si squarcia….
  Addio, care rondinelle
  dal corpo bipartito di bragia e di carbone,
  che volate via sfiorando coll’ala
  quei lontani laghi di fuoco….
  Addio, sciami pesanti d’api,
  che succhiando fiori v’arrostite
  in quella serra tropicale….
  Io sognerò di voi
  e del vostro corteo variegato che ora turbina
  sull’alveare immenso delle fiamme!
  Il vostro ronzìo
  vorrebbe ancora trattenermi….
  Vedi, mio buon motore? Il gran popolo delle fiamme
  m’accarezza e m’incatena soavemente!…
  Belle fiamme amorose…. Io posso soltanto obbedire
  a questo cuore indomabile che balza in avanti.
  Udite la sua volontà che s’esalta
  nella rosa russante dell’elica?
  È lui, che vi stiracchia così,
  lunghissime agili fiamme,
  giovani meccaniche scapigliate,
  mentre trattenete la mia lunga fusoliera
  irrigidendo i vostri muscoli scintillanti.
  Udite la sua fame, la sua sete,
  che si scatenano in latrati?…
  Il mio cuore-motore mi trascina
  con lo slancio di 300 fox-terriers
  tenuti con forza a guinzaglio.
  O mio cuore-motore, qual volpe fiuti nel vento?

  Lasciate tutto! Io m’involo
  verso il riverbero di quel Sahara lontano….
  O maledetta foresta di fiamme inestricabili,
  che bruscamente sali per sbarrarmi la via,
  fogliame enorme di metallo nerastro
  con strida di gazza e con strani
  cinguettii d’uccelli!…
  Più lontano, come mai potrò evitare
  quel grappolo d’aquile furibonde che s’accaniscono
  sulle mammelle sanguinolente di quel flessuoso palmizio?
  Ma l’oasi si sfascia e le grida strazianti
  della carne vegetale si sparpagliano in scintille.

  Non vedo più che rocce da tutte le parti,
  paesaggi di granito e d’ardesia,
  massi fumanti, con fori rossastri
  o pensose finestre che guardano!
  E ora sono villaggi africani,
  fulminati dal sole!
  Ma i fumi, orde di negri, dànno l’assalto,
  appiccando fuoco dovunque,
  sotto grigiastre e panciute
  nuvole di zanzare!…
  Maledetto bastione roccioso, che strapiombi
  su quell’abisso dove la putredine fiorisce verde-dorata!
  Per poco non mi s’è infranta l’ala, per poco non sono caduto
  sui sinistri gonfiori di quell’immonda poltiglia
  fatta di tutti i cadaveri
  d’un esercito arabo rovesciato giù dalle mura!…

  Quanti sobbalzi!… O mio monoplano!
  O mio monoplano, io ti lodo
  di saper dare con tanta audacia la scalata
  a questo càos di rocce!
  Da una parte l’oceano di liquido fuoco
  del vulcano, dall’altra un’insurrezione
  di picchi impennacchiali di fumi chiari,
  che mi guardano impassibili
  in mezzo al precipitare
  di cento valli color marrone
  dall’alito ammoniacale.

  Per non sentirvi più, io mi scaglio in avanti,
  a rischio di cozzare sull’orizzonte di ferro
  che sembra impenetrabile tanto è rafforzato
  dai suoi grossi bulloni gialli ben ribaditi.
  Un gorgo d’aria umida mi costringe
  a riabbassarmi nel cavo d’un burrone
  fra odori di bagno turco e di corpi sudanti.
  Il mio cuore-motore, che mi precede,
  s’imbizzarrisce già fra cespugli spinosi
  di gaz policromi….
  Attraversali, dunque!…
  Che t’importa, se le mie ali devastano
  la boscaglia di queste verdi esalazioni?

  Ammira, piuttosto, lo splendore
  di questo corteo di piccole fiamme puntute
  che volano come rondini dipinte
  dai pennelli del sole al tramonto!
  Noi voliamo in mezzo alla germinazione
  violenta del fuoco. Mai più
  tu avrai la gioia, o mio cuore,
  di contemplare brulichii così cupi
  di forme irritate e di caldi colori!…
  Con un volo planato io scivolo
  fino al fondo di questo nuovo abisso….
  Che è mai questo rumore di pietre
  dietro di me? Le mie ali hanno spazzata
  la cresta delle scogliere….
  Il paesaggio è sempre più tormentato.

  Montagne che s’incavano!
  Abissi sventrati!
  Io scendo, scendo giù per chine ripide, e a un tratto
  un monte che vuol mascherarmi la sua altezza imprevista
  mi ferma.
  Avanti! non importa! Balza in alto!…
  Addosso a quel monte, mio bel monoplano!
  Non vedi come t’è facile
  superare così
  tutte queste scarpate gigantesche?…
  Mantienti in equilibrio,
  e scivola via con destrezza….
  Oh! ti sento, ti sento bestemmiare!…
  Maledetto sentiero da serpenti!
  Tu soffochi quasi, tra queste due pareti,
  e non vuoi dar del naso contro la montagna.
  Con questo fumo, come potremo calcolare
  esattamente lo spazio che ci occorre per passare?
  Non c’è modo di correre! Con le mie ali
  vado snidando grappoli di pipistrelli
  che mi sputano addosso la loro fuliggine
  commista al tuo olio di ricino!…

      __I serbatoi del romanticismo.__

  Finalmente, finalmente respiriamo,
  ed io filo via rapidissimo
  sopra un gran fiume di _kohl_ e di belletto!
  Oh! meravigliosi tramonti,
  aurore ricche di colori, venite
  a ritingere qui le vostre guancie
  e le vostre palpebre pesanti!
  Poeti romantici, tornate in folla
  a ritrovare sulle rive di questo fiume
  le lanterne veneziane più fantastiche
  che possiate aver sognato!
  Sono inghirlandate di rose e macchiate di sangue…
  Sulle rive di questo gran fiume di belletto
  troverete tutto il fastoso _bric-à-brac_
  del vostro sogno teatrale!…

  Monti di bel velluto color granata,
  mobilia sgargiante di tragico lupanare,
  vetrine arabe traboccanti dì fuoco….
  Qui c’è di tutto!
  Poichè il vulcano è la sintesi e la genesi
  d’ogni poesia,
  E noi divertiamoci, cuore-motore, a volare
  su questi numerosi teatri all’aria aperta….
  È notte? è giorno? Non sì sa più!
  Teatri all’aria aperta irti di luci
  e di barriti, poichè vicino è il serraglio
  che unisce la voce delle belve
  alla voce forsennata dei commedianti!
  Lungo budello della fiera fangosa
  in cui violentemente diguazzano
  le lampade elettriche,
  irradianti di bianco orrore il firmamento in cui volo,
  il firmamento, fiera fallita, disdegnata, che si spegne,
  incalcolabilmente lontano….

  Il gran fiume di _kohl_ orientale
  e di belletto romantico
  s’allarga a poco a poco formando un bel lago,
  sulle cui rive, a destra e a sinistra,
  s’avanzano ballando, delle fiamme spagnuole
  eccitate dal vino, dalle risate,
  e punto dal desiderio di mostrare
  il prurito della loro carne che crepita….
  Ballano, le fiamme,
  civettando, facendo moine
  con gli occhi, con le labbra e con le mani,
  e si sventagliano,
  e sventagliano me a volta a volta.

      __Le fiamme spagnuole.__

  Noi ridiamo a crepapelle per burlarci di te,
  asino volante dalle orecchie di tela!
  Che fai lassù, tanto lontano dalle nostre bocche?
  Vieni ad ammirarci da vicino!…
  Noi siamo ballerine stupefacenti,
  e i nostri occhi son occhi di coda di pavone!
  Per te solo avvolgiamo ai nostri fianchi
  questi bei scialli di fumo ricamati di scintille,
  mentre danziamo con lunghi ticchettii di nàcchere….
  Ti mostriamo le nostre poppe gemelle,
  che hanno la calda peluria della pesca al sole
  e ne promettono il fresco sapore….
  Alziamo le nostre gonne
  di velluto color zafferano e le nostre sottane
  dai merletti di cenere viola,
  mostrando le nostre anche[*accented?] flessuose!…
  Avvicinati![*accented?] Vieni a vedere
  le nostre scarpine vive,
  d’un roseo scoppiettante! Vieni a vedere,
  asino volante dalle orecchie di tela!…

      __Io.__

  Vengo! Vengo! Aspettate….
  Ma chi vi spazza via? Quale raffica
  ha bruscamente arrotolati tutti i tappeti
  e rapidamente nascosti
  orpelli e tamburelli,
  come fanno i saltimbanchi quando vengono le guardie?…
  Non vedo più davanti a me
  che una mandra di colli rossastri e rosati….
  Trotterellano spaventati
  come pecore, affrettandosi
  verso l’immensità delle pianure.
  Sono io scosso ancora dall’ubbriachezza del fuoco?
  Eh! via!… Se quei due campanili siciliani
  oscillano flessuosi come betulle,
  è perchè io mi cullo nell’aria
  nell’uscir fuori dai fumi!…

  M’immergo tratto tratto in laghi d’aria pura.
  Qua e là s’aprono vaste brecce grigie
  inebbrianti e inebbriate,
  nel gran velo di vapori violetti e purpurei.
  È la deliziosa vicinanza dell’azzurro!
  Sento la sua bocca fresca, mentre attraverso
  a rapido volo un immenso formicaio
  di riflessi rosei che diventano turchini….
  Com’è bello, questo sentiero, tappezzato
  d’un musco di bagliori violacei!
  A 100 metri sotto di me,
  m’appare l’ampia schiena ignuda del vulcano.
  Scoscendimento terribile della montagna,
  con muscoli irrigiditi
  sotto la pelle membranosa e cartilaginosa….

  Ho finalmente raggiunto, o Vulcano,
  il margine fresco, là in fondo,
  all’inestricabile foresta dei tuoi àliti….
  E balzo lontano, laggiù,
  verso il gran corpo dell’Italia
  che devo ridestare….
  Su! Su! La guerra scoppia! La guerra è scoppiata!
  Alzati, bel corpo possente,
  penisola intorpidita!
  Drizza la tua statura immensa sotto lo zenit!
  Che piacere provi mai a sonnecchiare così
  nella tua alcova mattutina d’argento polverizzato?
  Motore, mio motore, raddoppia
  la tua velocità! Dobbiamo correre
  lungo tutto il suo corpo
  e morderlo, e stordirlo, e fargli vento
  con le mie ali!
  Presto! Regalo ai venti
  tutte le belle collane di rubino
  con cui il Vulcano mio padre
  abbellì le mie èlitre….

  Prendete! Prendete, belle nuvole!
  V’offro anche queste gloriose e pesanti
  parrucche bionde,
  cosparse di zaffiri e di granate,
  con cui potrete ornare le vostre teste
  scarmigliate dalla brezza.

  Prendete! Non le volete? Peggio per voi!
  Le getto in mare, poichè non so che farmene!
  E il mare ne è tutto arrossato!…
  Agito le mie ali per liberarle
  dalle mussole e dai veli di fuliggine
  di cui son cariche ancora…. Ormai è giorno!
  Affrettiamoci!… Il cielo! Il cielo puro!
  Io mi sprofondo nel cielo,
  come in un abisso d’azzurra passione!…

  Tutte le nubi carnicine o rosee
  mi gridano stirando e snodando le braccia
  con mollezze di sciarpe di seta:
  «Ben venuto, bell’uccello temerario! Ben venuto!»

  Volo sui pesanti battiti del mare,
  la cui groppa floscia si schiaccia sulla spiaggia….
  O promontorio! O toro che vorresti scagliarti
  contro di me, puntando come corna minacciose
  i tuoi ulivi scarniti! Tu fiuti come me
  l’inebbriante odore del temporale.

  Ora un brutale acquazzone gualcisce e accartoccia
  la seta dell’orizzonte! Lo attraverso
  come si passa correndo sotto una grondaia….
  Vi stupisce il mio coraggio,
  tristi nubi avvizzite e scolorite
  che ondeggiate laggiù, pèndule le braccia,
  con falotici dondolii,
  poveri vestiti da maschera d’un carnevale bagnato?
  Io son più bello di voi, perchè le mie ali
  vollero somigliare alle fiamme dell’Etna.
  Le mie ali, arrossate
  dai possenti tabacchi vulcanici,
  sembrano un forte paio di baffi conquistatori
  sopra la burbera faccia
  di quella nube che lascio dietro di me.

  E questo vi diverte, o villaggi,
  poichè v’odo gridare giocondamente: «E’ passata
  a volo spiegato sopra di noi!
  Chi? Chi? La guerra!… Oh! Eccola!…
  La guerra passa volando, a una fantastica velocità,
  come un fantasma, come un raggio, come un lampo,
  scagliata verso il confine!»

  O commmozione terribile di angoscia pesante!…
  Cresce infatti il calore e la luce pesa,
  e sento nel mio cuore i tonfi sordi
  che fanno le scialuppe
  ballando legate contro i fianchi del piroscafo.

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4  LE BATTERIE DEI SOLI.

      __Prima popolana.__

  Accorrete! Donne e fanciulli, accorrete!
  Presto! Presto! Scendete! Andiamo tutti in folla,
  a centinaia, a migliaia!
  Bisogna fare un giro di quattro chilometri
  fuori dalla città, per andare
  a fermare il treno, ed a stenderci in mucchio
  attraverso il binario!… Formeremo così
  un materasso immenso di corpi umani!

      __Seconda popolana.__

  Oh! via!… La marmellata è inutile!
  Il macchinista non vorrà fermare,
  e la locomotiva passerà
  come un aratro sopra un vasto campo di carni!
  Zappe, zappe, ci vogliono, e leve, e martelli
  per strappare rotaie e traverse!
  Andiamo presto! Ci spìano!

      __Terza popolana.__

  Ero laggiù poc’anzi; li infornano tutti….
  Dieci treni stanno per partire uno dopo l’altro!
  Trecento vagoni sono pronti!
  Venticinquemila uomini! Li ammucchiano
  come bestiame…. È una fiera!
  Non vidi mai tanti uomini riuniti…
  Rumor di ferro spaventevole!
  Se tutti quei fucili sparassero insieme,
  la terra rimbomberebbe
  di mille folgori, di tremila tuoni….
  Nelle campagne, non si vede più verde!

      __Seconda popolana.__

  La città, le mura, le piazze, i giardini
  sono inondati da una marea grigiastra.
  È il colore delle divise,
  colore di piombo d’un cielo di temporale!
  La terra è tutta gonfia di masse di soldati,
  irte di baionette,
  come le nubi sono irte di pioggia….
  Tutto sta per scoppiare….
  Dovunque sotto i piedi la terra è piena di guerra!
  Dovunque si beve e si respira il soffio, la bava
  di innumerevoli cani arrabbiati!…

      __Prima popolana.__

  Dio! Che caldo! Che caldo!
  Se questo cielo di cotone si lacerasse, là giù!
  Un po’ di pioggia!… Che fortuna sarebbe un po’ di pioggia!
  Maledizione! Anche il sole s’accanisce
  contro di noi! Aiutatemi
  a portare questa leva! E’ pesante!
  Mio Dio, com’è pesante!…
  E la risaia ribolle, infernalmente scaldata!
  Che specchi atroci, le sue acque di fuoco!

      __Terza popolana.__

  Non ci vedo più. La campagna intorno
  rantola soffocata sotto le enormi pietre tombali
  dell’atmosfera!
  Ogni pietra è aureolata d’angoscia gialla.
  Ogni pietra respira e rantola orribilmente,
  come una testa recisa imbavagliata di fuoco.
  Tutti i sassi hanno sguardi insostenibili.
  Gli stagni sono graticole
  piene di Cinesi arrostiti, puzzolenti!
  Noi siamo trasportati nel vasto ronzìo del cielo
  tutto imbottito di mostruose cicale….
  No!… No!…

      __Seconda popolana.__

  Come possono, gli alberi, star ritti?
  Sono atterriti!…
  Maledetto sole! Terribile fornace! Valanga di specchi!
  Moriremo tutti acciecati!
  Sì, acciecati! I miei occhi
  sono divelti dalla fiamma veloce
  di queste sfolgoranti rotaie
  che solcano la terra come due fulmini immensi!

      __Prima popolana.__

  Su! Uno sforzo! Un grande sforzo!
  Bisogna spingere questa leva sotto la traversa!…
  Tutte insieme! Forza! Tutte insieme!
  Calcate con tutto il peso del vostro corpo!
  Siamo venti donne, non molto robuste,
  ma riusciremo!…

      __Terza popolana.__

  Giovanna! Rosa! Lucia!… Venite presto!
  Bisognerà pure che il macchinista
  fermi bruscamente il treno!
  Volete che il cannone ci mangi i nostri figliuoli?…
  Saranno tutti uccisi, siatene certe!
  Bisogna impedire ad ogni costo che partano!
  Pianteremo in mezzo alla strada ferrata
  quest’altissima pertica…. La vedranno
  di lontano, e si fermeranno, per Dio!…

      __Prima popolana.__

  Santa Vergine Maria! Facci la grazia!
  Noi ti chiediamo solo un po’ di forza!
  Sì! Sì! Aiutaci, Vergine Maria!
  Se vuoi, lo puoi!… Forza!… Forza!…
  Ancora! Su! Calcate!… Non gridate!…
  Spingete!… Su!… La rotaia è staccata!…
  Non piangete! So bene….
  Tremate dalla paura, e io pure singhiozzo!
  Santa Maria, soccorreteci!
  Non abbiam più coraggio!
  Il cuore ci è caduto tra i piedi,
  e noi lo calpestiamo senza volerlo!…
  Lo sentiamo guaìre, ferito, morente,
  come un povero cagnolino!
  L’idea, soltanto l’idea
  di perdere il mio bel Giorgio, mi fa tremare tutta!
  Le mie braccia son morte, mi sfuggono le gambe!…
  Lo vidi in sogno stanotte, subitamente,
  rosso da far paura, crivellato di buchi
  rossi, come un setaccio pieno
  di pomodoro spremuto.
  Lui, così bello! I suoi grandi occhi neri
  sono più grandi che fiaccole di gente ricca,
  quando viene ad abbracciarmi
  mentre sto nel letto!
  E poi, lo sai, Maria vergine,
  che lavora come un santo, tutto il giorno,
  per comprare la vigna del vecchio Pietro….
  Un altro mese, e saremo
  dei piccoli grandi proprietari di fondi!…
  Era il suo sogno, e tutto crolla!
  Deve partire!… Per obbedire….
  Ma perchè?… perchè? e senza sapere!…

      __Io.__

  Motore! Mio motore! Alza la voce!
  Io non voglio più udire questo vasto gridìo
  di donne scamiciate
  esasperate dal caldo atroce
  in questo glorioso meriggio furibondo di guerra!
  Sconcia canaglia dalle camiciole sfarfallanti,
  affannati, affannati pure sulle rotaie fulgenti,
  verminaio insorto che ondeggi
  tra i vasti specchi forsennati delle risaie!
  Voi non potrete, femmine, tagliare la strada
  ai treni militari!

      __Prima popolana.__

  Bisogna aggrovigliare tutti i fili dei dischi,
  Legarli con delle liane!… Non resistono?
  Leghiamoli con ciuffi di ginestra!
  Presto! Strappiamo i cuscinetti di rame!…
  Dammi la chiave inglese per svitare le rotaie!
  Giacomina! Giacomina!
  Vieni con me a fracassare quel disco, a sassate!
  Dov’è la moglie del maniscalco?
  Un magnano, ci vuole! Giovanni!
  Giovanni il tornitore!
  Ah! quel povero vecchio è paralitico!
  Portatelo qua in un carretto!
  C’insegnerà…. E’ il suo mestiere
  fissare gli zoccoli sulle traverse?
  Porta con te un ceppo di legno ben duro!»

  Frattanto il sole si moltiplica
  in tutti i punti dell’ampio orizzonte
  in tutti i punti del cielo!
  Cielo biancastro opaco che l’odio screpola!…
  Da ogni parte invisibili generali
  hanno puntato innumeri cannoni solari
  dal lungo vomito d’oro….

  Sulla proeminenza gessosa di quella nuvola,
  sul terrapieno di quei vapori abbaglianti,
  sui margini di quella foresta d’argento
  sono appostate batterie di soli.
  Più lontano, giranti mitragliatrici d’acciaio
  crivellano lo spazio d’innumerevoli getti
  di piombo fuso…. Ed ecco sullo zenit
  tre pezzi tanto roventi
  da esserne rossi
  bianchi
  turchini.
  Ad un tratto,
  cadono le donne in fila
  bevendo la morte con bocche contratte,
  sotto l’ampia mitraglia del fuoco solare….
  Altre piroettano su sè stesse,
  trottole ancora strette dagli spaghi sferzanti
  delle capigliature, poi crollano giù
  pesantemente, e con rabbia convulsa
  scavano il suolo per celarsi
  nelle viscere fresche della terra.

  Me ne infischio, del caldo e del pericolo!
  M’inebbria il non sapere più
  come evitare tutti i vostri fuochi convergenti,
  o formidabili batterie di soli!
  E applaudo quando le vostre colleriche gole
  puntate dal bastione calcareo delle nubi
  scoccano nello spazio lunghi sputacchi solfurei!
  Seguo cogli occhi le rutilanti culatte dei soli,
  che sui loro motori elettrici corrono
  ad appostarsi nei punti migliori dell’orizzonte,
  d’onde meglio si può colpire
  ciò che formicola nella pianura….
  Tutti i cannoni celesti tremano
  nelle loro fotosfere irritate!

  Attraverso il fumo acciecante che sale
  vedo vibrare i corpi orlati d’oro degli ufficiali,
  i cui comandi stridenti
  infiammano le ultime tracce violacee dell’ombra.
  Poi, bruscamente, non vedo più che le loro bocche
  torride,
  accanto alle torride bocche vomitanti
  dei cannoni!…
  Fragore enorme d’un milione di echi,
  fracassati, crollanti, polverizzati!

  Gli echi si sparpagliano
  in petardi diabolici,
  vasta polifonia dominata
  dalla voce selvaggia degli artiglieri solari.

      __Gli artiglieri solari.__

  Bisogna mirar dritto e tirar tutti insieme
  al disopra dei terrapieni di quella nuvola,
  su quelle immense macchie bianche che coprono
  qua e là i serpenti sfolgoranti dei binari!
  Maledetti specchi acciecanti delle risaie,
  da cui la luce rimbalza rabbiosamente!…
  Vedete, là, vicino alle rotaie?
  Mirate al centro! Facilmente si sbaglia!
  Non v’è modo di regolare
  il nostro gran tiro obliquo!
  Scendiamo più in basso, e puntiamo
  su quella gialla scarpata di bruma
  300 bocche da fuoco!
  Coroniamo di batterie solari
  quelle colline di vapori incendiati!
  Così si potrà calcolare
  l’alzo di tutti i cannoni e spazzar le rotaie
  d’un colpo solo…. Puntate
  questo cannone contro la saracinesca aperta
  di quella nuvola fortificata!
  E sfondate, suvvia,
  quella trincea di raggi rossi!… Impossibile!
  Quel maledetto uccello bianco ci balla
  davanti agli occhi, e ad ogni istante ci taglia
  la linea dei tiri!…

      __Io.__

  Miserabile folla di femmine chiassose,
  inutilmente, inutilmente spingete
  come una gialla marea l’ammasso cencioso
  dei vostri corpi sudanti
  sulle affascinanti rotaie!
  Le vostre nudità che sprizzano
  fuori dalla tela bianca e folle
  si lacerano invano
  in gesti e in grida convulsi, battendo
  i sassi carbonizzati della ferrovia!
  Squarciate, squarciate pure
  contro la terra
  le vostre povere poppe sballottate,
  otri goccianti di sudore,
  sotto la pioggia fangosa dei vostri capelli agglutinati!
  Unite pure lo sforzo dei denti
  allo sforzo dell’unghie insanguinate!
  Nulla potrà impedire che regni la guerra!
  Donne, fanciulle, cadete ad una ad una,
  e a mucchi, e a centinaia,
  sotto il fischiar degli obici
  che vi scagliano i soli!

  Ma non fuggite. Cresce la vostra folla.
  Un immenso arruffio di camiciole
  e di corsetti stracciati copre i sentieri
  fra le esplosioni delle risaie, spaccate
  dai proiettili…. Il cielo
  ha munizioni abbondanti! Guardate
  quei treni di nebbia violacea
  che passano all’orizzonte!
  I loro lenti vagoni sono pieni
  d’accumulatori atmosferici
  e di tempestosa dinamite!
  Artiglieri dello zenit! Raddoppiate il tiro!
  La canaglia strappò già 200 metri
  di binario!… Batterie di Soli!
  non riuscirete dunque mai a spazzare
  la strada ferrata!
  Io v’aiuterò!…
  Su, su, motore, centuplica
  i battiti focosi delle tue arterie metalliche!
  Io mi slancio orizzontalmente,
  quasi rasente terra,
  fra questa vasta mèsse di femmine,
  zucche e melloni chiomati….
  Ecco: la mia ala destra, con un gran colpo di falce
  ne decàpita un centinaio!…

  Oh! rabbia!… E’ troppo tardi! Odo il grido
  straziante, straziato,
  della prima locomotiva….
  Grido verdegiallo, getto di bile e di veleno
  che sale dritto nella luce viva!
  Grido guerriero della prima locomotiva,
  ferro rovente che brucia
  il corpo convulso del treno!
  Treno carico di soldati…. Cinquanta vagoni,
  anelli colossali di una formidabile catena
  che risuona lugubremente nell’uscir dalla terra!
  Giro velocemente,
  e con un altro colpo roteante di falce
  la mia ala sinistra riprende con gioia
  la sanguinosa mietitura,
  decapitando 1000 femmine in fila
  lungo il binario che vibra.
  Urrà! E’ finito!… La terra ha paura
  e trema…. Il convoglio sale,
  gonfiando il suo gran dorso di rumore
  e il suo pennacchio di fumo che vela per un momento
  i 200 soli puntati,
  vomitanti la morte….

  Vicino, a 50 metri, ecco il petto
  favolosamente tragico della macchina!…
  O gran petto opprimente che ti gonfi
  colle scosse e i sussulti
  d’un’asma di gigante!
  Singulto tuonante che respinge le nubi
  con urti bruschi, in uno sforzo continuo
  di soffiare, per respirar meglio,
  tra i grossi materassi del caldo
  che crollano giù in valanga!…
  Il treno rallenta cauto, sprizzando dai finestrini
  10000 teste che urlano….

  A destra e a sinistra, le folte file
  delle donne decapitate,
  come altrettanti inaffiatoi agitati
  piovono un roseo squisito tepore di sangue
  sopra i vagoni, ceste di ferro ricolme di frutti vivi.
  Avanti, treno rosso!
  I due grandi ventagli di donne scarlatte
  schizzano orrore sulla folla in delirio
  che avviluppa la casa del cantoniere….
  La folla s’ingolfa per la porta scoppiata,
  come una tortuosa gomena
  che s’accanisca a passare per la cruna d’un ago….
  Il primo gruppo che entra riempie la casa
  d’un albero bizzarro, mostruoso,
  agitato da un vento di follia.
  Albero dalle liane vive,
  che s’annodano e s’intrecciano destramente
  per espandersi alfine sulla terrazza
  e giù dal parapetto,
  in grappoli vermigli dagli àcini urlanti!…
  Ma è tanto violenta la spinta,
  che la terrazza, come un vaso,
  subitamente trabocca….

  E’ una cascata umana che precipita
  giù
  accelerando così la marea che sale e poi ricade
  giù.
  Nulla può fermare, oramai,
  il getto forte della fontana di sangue
  e il suo pennacchio abbondante
  e la sua grandine enorme di facce sfracellate
  sull’immensa campagna assetata che la beve.

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5.  LA PESCA
  DELLA GRAN FOCA VERNICIATA.

  Io salgo con balzi veementi
  su, su, verso le nuvole del tramonto,
  gran diga d’ombra dietro la quale s’ammassa
  l’acqua trèmula e dorata della sera….
  Nell’avanzarmi, scorgo
  attraverso la rosa turbinante dell’elica,
  e lontano lontano,
  quell’acqua dorata che sussulta, trabocca
  e cola veloce pel piano inclinato del cielo,
  tutta d’un pezzo, massiccia….
  O ebbrezza dei miei occhi che la bevono!
  Grida purpuree di gioia stupefacente….
  L’orizzonte intero vacilla per l’entusiasmo
  nell’enorme ondata di liquido oro
  che viene da Porto d’Anzio….

  Più stupida d’una tacchina, la Campagna romana
  fa la ruota sotto di me,
  spiegando la sua coda immensa di ginestre
  ocellata di tombe….
  Ma l’ironico mare, luminoso e dorato,
  le dà una lezione di futurismo,
  suggerendo insolentemente
  la visione d’una vasta officina elettrica
  dal pavimento lucido….
  I suoi isolotti color di rame,
  sono chiomati di scintille, come dinamo….
  Quasi mi sembra di udirne
  l’esaltante ronzìo….

  Mi fermo sopra Roma, all’intersecazione
  solenne delle strade celesti,
  felice di essere in mezzo al gran popolo
  simbolico e mutevole delle Nuvole.

  Perchè s’affretta così
  quel piccolo cirro elegante, snello e biondo chierico
  dalla sottana rossa e dalla cotta bianca?
  Ora s’inginocchia sui gradini del cielo….
  A lui fu dato l’incarico
  d’accendere tutti i ceri delle costellazioni.

  Ecco il loro direttore spirituale:
  un nuvolone nero, panciuto e solenne
  che semina nella brezza ipocrite benedizioni
  e sorrisi dolciastri….
  Non è più che un pesante idolo obeso
  con quattro paia di braccia
  tutte convulse di lampi.

  Ma nulla agguaglia il disgusto che m’ispira
  quella nube porcina e bigotta
  dalla quadruplice pappagorgia….
  Sdraiata sull’orizzonte occidentale,
  finge di sonnecchiare; con la bocca spalancata
  rasente le onde che sembrano denti
  su cui, ecco, ora passa una lingua di fuoco giallo….
  Consolatevi, occhi miei, sulla delicatezza
  di quelle nuvolette color di rosa,
  agili e leggiere….
  Accorrono da tutte le parti, felici
  e affascinate, si dànno la mano
  e ballano in tondo, intorno a me
  e certamente per me solo!… Mi sfiorano….
  Potrò forse gustare
  il loro bacio delirante?… Oh! dispetto!
  Già s’allontanano, bizzarre, capricciose, indecise….

  Ritorna il vento ballerino,
  e il suo ritmo di danza eccita i piedi flosci
  delle nuvole che si raddrizzano con eleganza.
  Ondeggiano i loro fianchi orlati d’oro….
  Com’è bello quel braccio che s’inarca
  con grazia squisita, salendo
  verso il rocchio di fuoco abbagliante!
  No! No! Non mi è mai accaduto
  d’ammirare dei fianchi di nuvole così languidi
  E quell’ascella color di rosa e nera?…
  Donna o nube, non so….
  Il suo bel corpo vorrebbe fondersi a volta a volta
  e disfarsi sparpagliandosi….
  La nuvola si sdraia prodigalmente
  per offrirsi meglio,
  e per me solo le sue belle poppe pesanti
  si gonfiano di desiderio….

  Oh! ma perché fuggite, belle nubi carnali?
  Perché vi coprite il seno e il bel ventre
  tondo,
  con tanta castità spirituale, immateriale?
  Temete il sole? Al diavolo il sole brutale
  che all’orizzonte impone il suo sesso rovente
  fuori da quei lenti panneggiamenti di vapori nerastri
  lamellati di lampi!…
  Il temporale sta per scoppiare
  come una foia spaventevole!
  E’ infatti la lussuria elettrica del cielo
  che mette in fuga le nuvole vergini e sagge…
  Fuggono così rapide, che lasciano sul mare
  una miracolosa mantiglia di lustrini azzurri
  ancora pronta ad avvolgere
  divine forme aeree.

  Fuggono così rapide, che lasciano
  laggiù su quello scoglio un garofano rosso
  urlante di passione, e più lontano
  quei due, tre, quattro tamburelli d’echi vibranti
  e ridenti che continuano, ancora
  il loro ritmo gaudioso
  e i loro saltellanti arpeggi di baci.

  A guancie gonfie, il vento soffia
  per infiammare d’amore i vetri infocati
  di quella città che svanisce subitamente….
  Il vento torna poi
  a spingere il mare con le sue balle di stracci turchini
  che si trasformano a poco a poco,
  in chiare vele di carta!…

  Dov’è adesso quel donnaiolo?
  Lontanissimo, là, tra quelle gonne di fumo
  rosate, spiraleggianti,
  già imbrattate di notte, ma ancora
  bellamente variopinte
  delle macchie dell’ultima orgia solare!
  Io v’inseguo pattinando sull’azzurro
  lavato e lucido, o belle nuvole carezzevoli,
  e ficco il naso nel caldo sventolìo
  delle vostre seriche vesti, allorchè vi fermate
  bruscamente, per eccitarmi con uno sguardo obliquo,
  o per graffiarmi colle vostre unghie di pioggia lucente.

  Cessate dunque di ridere e di ballare!
  Questa sera non è una sera d’amore,
  ma di battaglia, o piuttosto è una sera di caccia
  e di pesca abbondante!
  Correte via presto, e lasciatemi in pace,
  con le vostre sferzanti carezze bagnate….
  Guardate! Il vento esce nudo dal mare
  offrendovi il suo bel corpo salato….
  Divertitevi!

  Io devo correre adesso laggiù, a quelle roccie
  che emergono lugubremente dalla nebbia violacea,
  Là nelle vaste paludi del Vaticano,
  andrò a cercare la grossa Foca
  Verniciata di candore d’avorio e di luce divina:
  il Papa!

  Che fetida atmosfera! E’ il tuo alito,
  o vecchia asmatica foca, poichè respiri
  con grande stento fuori dall’acqua suppurante!
  O Papa, carceriere della terra,
  o sorcio mostruoso delle fogne del cuore,
  vecchio scarafaggio nutrito d’immondizie,
  pistillo osceno nella corolla d’una veste talare,
  battaglio di campana funerea!
  Tu respiri a stento,
  congestionato per aver mangiato tutto il divino del mondo,
  tutto l’allettevole azzurro delle anime!
  Monopolizzatore dell’ideale umano, io denuncio,
  il trust infame che hai fatto
  di tutte le energie terrestri!

  Ma a che serve moltiplicare le immagini schifose
  e le definizioni sinistre?
  Foca! Tu sei una foca, ma non ammaestrata
  nè divertente! E non sapresti
  intrattenere una platea giocando alla palla
  con la tua tiara costellata,
  Sei piuttosto un topaccio di fogna….
  No!… No!… rinuncio volentieri al mio genio creatore,
  e preferisco finalmente plagiare, come non feci mai!
  Ti riappiccico in faccia,
  l’immagine universale, rimasticata
  da tutti gli oratori anticlericali:
  Tu sei per loro il corvo dei corvi della Terra,
  cimitero ruzzolante!…

  Le nevi millenarie t’imbiancarono la peluria,
  ma la punta delle tue penne è rimasta nera.
  Cranio duro, esecrabile paracarro,
  contro di te sì sfracella
  il radiatore impetuoso dello spirito!…
  Dalla mia altezza ti vedo guazzare
  come un’anitra gigantesca
  nella scarlatta pozzanghera dei cardinali,
  e poi entrare in uno stagno violetto di vescovi,
  e poi troneggiare in un gran letamaio
  di monaci e di preti….

  Intorno a te s’affollano i corvi tuoi fratelli,
  nei fuligginosi giardini del Vaticano….
  Ticchettìo di becchi, sbattere d’ali nere
  e di sottane bagnate, avviluppate
  da un vapore fosforescente di nebbia sospetta.
  E’ questa, veramente, la più sorniona e cauta
  delle sere preferite dai demoni….
  sera medioevale piena di lampi algebrici
  in cui colano occhi di liquirizia
  sotto la frangia delle nuvole….
  Intanto i vostri sessi incartapecoriti, o prelati,
  devon sognare d’una grassa puttana,
  a cui il vento sollevi le gonne e che ruzzoli
  col suo gran deretano ignudo–luna piena!–
  giù nei cupi sagrati delle vostre chiese!
  Ma no…. Sono io, sono io che precipito
  dall’alto sulle vostre sudanti tonsure!
  Un volo planato?… Una valanga, piuttosto,
  o la folgore stessa!
  E non vi lascio il tempo di mettere al riparo
  il vostro pesante vecchiaccio dai piedi palmati!

  E’ semplicissimo…. Guardate!
  Come una forte gru metallica,
  io svolgo tra le mie due ruote
  una catena di ferro, munita
  d’una trappola a molla, e la calo
  entro la stiva del Vaticano!…
  Braccio nodoso, chela di granchio mostruoso….
  E’ semplicissimo…. Guardate:
  la trappola si richiude, e io tiro,
  tiro lentissimamente, su, su,
  codesta balla pesantissima
  di corone da rosario, di crocifissi, di scapolari….
  È un papa! Un vero papa! E’ il Santo Pontefice in persona!

  O mio motore, hai ragione se sussulti di rabbia,
  e se tossisci e sputi!…
  E’ il tuo modo di disapprovarmi!
  Ti fa schifo, la mia pesca?… Suvvia!
  Vomita il tuo olio caldo,
  per onorare l’immonda zavorra che t’impongo!

  Coà! Coà! Coà! Tutti i corvi si agitano,
  impauriti, acciecati,
  dallo splendore delle mie vaste ali bianche,
  che salgono ornando l’azzurro.
  Ed ecco la pioggia, che piomba giù bruscamente,
  a cascate, dalle fessure delle nuvole!
  Frana del cielo sfasciato,
  torrente fangoso che precipita sulle scogliere
  dello zenit, divenuto ad un tratto
  lo sbocco di una cloaca!

  L’acquazzone schiaccia pesantemente
  tutte le campane del Vaticano…. le schiaccia
  contro la terra, come rospi
  schizzando largamente intorno
  fango sonoro!…
  Ma fa ben altro, la pioggia! Raspa con cura
  la tua vernice di candore, o pontefice,
  così da mettere in mostra il tuo superbo pelame
  nero, oleoso, dai ricchi riflessi turchini….

  Vento nerastro e sudicio!
  Vento puntuto di cattedrale, dai sibili lamentosi!
  Vento d’astiosa castità e di lussuria,
  stirato, punzecchiato da pruriti ardenti!…

  Vento di cimitero abbandonato,
  lasciami! lasciami!… Schiudi le tue tenaglie
  che mi strappano per la testa, come un chiodo!…
  Io mordo le tue dita adunche, che si contraggono.
  E finisci, suvvia, di gridare il tuo stupido ritornello:
  «Lo tengo, lo tengo ben stretto fra le unghie!»
  Puah!… Guarda quel che tieni!
  Uno sputacchio!…
  Che io lancio fuori dalla mia gola melmosa!

  O vento puzzolente del Vaticano,
  tu sporchi il mio motore!
  Che rabbia! Ad ogni istante, la fusoliera
  minaccia di abbandonarmi.
  Funziona male, il mio motore, e ne sprizza tutto l’olio….
  Non ci vedo più, e bisogna
  che mi pulisca gli occhiali con la destra,
  mentre manovro le leve con la sinistra!…
  Che importa? Me ne infischio!
  La coda del monoplano falcia le nubi
  e slitta sulle tue perfide mani sdrucciolevoli
  o vento saponoso del Vaticano!…

  E ora tu mi soffi nelle ali
  il respiro gemebondo e brontolante degli organi,
  per spaventarmi, per intenerirmi,
  per invischiare forse il mio cuore d’uccello?
  Eh! via!… Non sono più l’adolescente
  che dava i pruriti del suo corpo snervato
  al voluttuoso abbraccio della sera,
  all’odore dell’incenso e delle ostie inzuccherate,
  quando il mese di Maria
  veniva a visitarci, nel parlatorio
  come una donna profumata,
  più bella che le sorelle dei miei amici!…
  Fortunati! Essi almeno, ogni sera, potevano
  come giocando a rimpiattino,
  immergere il naso, le guancie,
  nei tiepidi corsetti e fra le gonne
  lasciati sulle sedie accanto al letto….

  Non sono più l’adolescente orgoglioso della sua fede,
  che s’inginocchiava sensualmente
  per pregare a caso i caldi profumi erranti,
  l’altare in fiamme, la Madonna elegante
  nella sua veste attillata di gesso,
  e sopratutto
  le fanciulle dagli occhi troppo grandi e troppo cerchiati,
  le fanciulle strette l’una all’altra
  sui banchi neri, le fanciulle
  che a un tratto scoppiavano a ridere sommessamente.
  Non sono più l’adolescente dal cuore ondeggiante
  e dalle mani inquiete, che piangeva
  per non avere che un corpo acido
  da dare a chi?… a nessuno, a Gesù Cristo,
  alle lingue fulgenti dei ceri
  torturati dalla follia di salire,
  al furore carezzevole delle rose,
  alla voce solleticante del padre confessore,
  solo capace di liberarci il cuore
  dalla noia, e solo a perdonarci,
  vezzeggiando i grossi peccatuzzi che fanno le fusa
  dal piacere, in fondo ai nervi,
  come vecchi gatti nelle grondaie…..

  O Vaticano, i tuoi preti musicanti
  possono ormai aprire la grande caterrata
  degli organi pieni di terrore
  e d’amarezza irreparabile,
  perchè la cascata inondante dei loro suoni che piangono
  mi sommerga e mi copra
  come un cencio miserevole!…

  O grandi organi cattolici,
  gonfiate, gonfiate la marea delirante
  di nostalgia, con cui volete annegare
  la nostra umanità febbricitante,
  perchè vi galleggi, cadavere innumerevole,
  alla deriva,
  verso il gran nulla dei paradisi sognati!

  Sullo scorrere desolante delle melodie,
  volo rapidamente,
  sempre più in alto, lasciandomi dietro,
  gli agonizzanti occhi vetrati del Vaticano.
  Sembrano, ora, cranî colossali
  di mastodonti scomparsi,
  o piuttosto gli ossami
  d’una catena di monti scarniti.
  E che vedo, più in giù?
  Vedo la più putrescente delle paludi
  sotto un volo giallastro di zanzare sinistre!…
  Palude selciata d’orecchie verdi
  di cadaveri annegati…. E tutt’intorno,
  tristi giardini carbonizzati,
  il cui terriccio nerastro è imbottito
  d’ossa e d’escrementi….
  Un’aria densa, carica di ceneri
  di sudiciume e di fuliggine,
  stagna e torpe…. E’ il tuo rifugio, o Santo Padre,
  ormai violato da me!…
  Ah! ma lascia ch’io rida!…
  Nell’ebbrezza del ratto,
  non mi curai dei nodi che torturano
  la tua pesante pancia matura
  e le tue zampe da palmipede!…

  Suvvia! Finiscila, di dibatterti
  come le anitre selvatiche
  che gli arabi catturano a centinaia
  sul lago Mareotide!
  Reclamavi il potere temporale?…
  Io ti do ben di più!… Ti do il cielo!…
  Ti do un potere assoluto
  sui vasti dominî degli uccelli,
  delle nuvole e delle stelle!

  Ecco il cielo e l’infinito!… Prendi!
  Ecco il cielo che non avesti mai,
  per quanto tu l’abbia venduto
  in grosso e al minuto,
  mille volte, fra i tuoi campanili monotoni,
  ciarlatani da fiera,
  seduti accanto alle cupole, salvadanai!

  Avrai rialzo e ribasso a piacer tuo,
  vecchio agente di cambio della Borsa delle anime!
  Nel salire e nello scendere con me
  riprenderai il sonno della tua vecchia coscienza,
  assuefatte alle dolcezze dell’altalena….

  E’ inutile che ti volti indietro!
  Il Vaticano annega in nebbie violette…
  La cattedrale di San Pietro emerge sola,
  granchio gigante degli stagni cattolici,
  granchio dal vasto dorso marmoreo
  arrotondato a cupola,
  che vorrebbe afferrarmi tra le chele colossali,
  dei suoi due colonnati.

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6.  I MOSCONI POLITICI.

  Suvvia! Non tremare così, Santo Padre!…
  Veramente, lo so, tu non hai l’abitudine
  di volare sospeso, a questo modo,
  sulla crudele foresta dei tetti,
  sui loro colossali denti di sega,
  sui loro energici pendii dalle braccia tese
  verso gli abissi delle strade,
  peschiere in cui guizzano le lampade elettriche
  prese tra i fili loquaci del telefono….

  C’è di tutto, là dentro!…
  Divertiti dunque a guardare….
  Ecco là i vasti cappelli schiumosi
  delle cocottes,
  grandi tazze di birra fresca e traboccante,
  nella luce cruda,
  sulla tovaglia bianca di quella piazza….

  Tu singhiozzi d’angoscia,
  e la sete t’invischia la gola!
  Eppure questo vento
  spazza il cuore e lo ringiovanisce,
  mentre giù nelle vie fa troppo caldo….
  Un caldo sporco, puzzolente e untuoso!…

  Tremi ancora?… Perdonami, vecchio!…
  La notte è tanto densa,
  che per poco non ti ho impalato sulla punta
  di quell’ipocrita campanile!…
  Ora io vorrei decifrare questi urli
  lanciati non si sa d’onde, che rimbalzano
  tra le facciate delle case….
  Tutti i balconi sono gonfi
  come foruncoli di calore!…
  Stanno per scoppiare, e ne gronderà sanie
  giù nella strada…. Quelle forme nere
  sono falene allucinate dalle lampade,
  o sorci furtivi allettati
  dal formaggio a mille buchi di quella casa….
  Sono strilloni che corrono,
  e i loro fianchi partoriscono giornali….
  Più lontano, in fondo a quella piazza,
  vedi quel ventaglio frenetico d’ombre nere….
  Sono strilloni che vendono ali bianche ai passanti!

      __Gli strilloni.__

  «_La Tribuna! Il Giornale d’Italia!…_
  Dichiarazione di guerra!
  Dimissioni del ministero!»

  Il ministero discute giorno e notte,
  Il Parlamento anch’esso prolunga le sue sedute
  in quel palazzo nero,
  a cui il lucernario tutto aperto
  dà l’aspetto di una damigiana sturata….

  Vuoi partecipare alla discussione,
  tu che sognavi di troneggiare su questi gradini
  spifferando il discorso della Tiara?
  T’introdurrò volentieri pel collo della damigiana,
  perchè tu possa presiedere all’adunanza
  come un gran lampadario….

  Non spaventarti…. E’ il ronzìo
  dei mosconi politici!…
  Si dibattono con furia, senza speranza,
  per evadere dall’immensa tela di ragno
  formata dalle correnti di bava telegrafica,
  che s’agganciano, lontano,
  a tutti i punti dell’orizzonte….

  Là giù le grandi banche sbavano senza fine
  la loro filante saliva di cifre agglutinate….

      __Io.__

  O Mosconi politici, cessate di ronzare!…
  Io prendo la parola.
  Ministri e deputati, v’impongo
  di togliervi dal capo il casco telefonico!
  Perchè vi prestate così ai tortuosi interessi
  dei finanzieri che vi trapanano il cranio
  con le loro fredde minacce
  e i loro dubbi puntuti?

  Questo crescente mormorio nasale
  è la voce di Rothschild, che gorgoglia
  e frigge rabidamente fuori dalla placca metallica!
  Egli rifiuta semplicemente di sostenere la rendita
  e d’aprire i crediti necessari
  per le spese della campagna….
  Chiudete, chiudete presto quella cloaca pestifera
  che vomita carogne, singhiozzi di spavento
  e riflessi di argento sudicio
  sulla spiaggia invasa dall’oceano della guerra!…
  Ascoltate piuttosto la turbolenta risacca
  di quest’ondata di studenti che si dimena
  e si lacera contro le file della cavalleria,
  scogliera coperta di schiuma!

  Ma confessate, dunque, o deputati socialisti,
  che sotto i vostri piedi
  sentite oscuramente trasalire la terra!
  Il bel brivido avventuroso passò nei vostri cuori.
  Le vostre bocche ingombrate dalla sommossa delle parole
  somigliano alle strette porte delle caserme
  dove i battaglioni s’affollano pestando i piedi.
  Fuori da queste mura la guerra circola già
  come un sangue impetuoso,
  nelle vie, vene scoppiate dell’Italia!

  Ecco! Ecco! Quei sassi veementi
  che fracassano le vetrate del Parlamento
  sono parole chiare! Che cosa rispondete?…
  Gli studenti esigono che si combatta!
  Decidetevi. La guerra è dichiarata.
  Che aspettate? Per tutta la notte
  udirete muggire questa marea di voci
  sotto le vostre finestre, e a volta a volta
  l’udrete scorrere e rumoreggiare
  fino all’altra estremità della città.

  Ministri, deputati, spiegatevi!
  Non siete affetto divertenti,
  così ammucchiati a piramidi
  come vecchi proiettili nel cortile d’una fortezza.
  La luce dei lampadari s’avvilisce guardandovi,
  poichè vorrebbe, come la mia anima,
  mescersi a questi fiammeggianti clamori!

      __Gli studenti.__

  Aprite le finestre, o venite ai balconi!
  Deputati, vecchie puttane nazionali,
  aprite il vostro bordello!
  Vogliamo completare il Parlamento.
  Abbiamo convocati degli altri rappresentanti
  della massa popolare, che acconsentono
  a partecipare alla seduta
  discutendo sulla guerra!

  Ecco le cortigiane e le prostitute cenciose,
  i pederasti graziosi, i pregiudicati,
  ex assassini, ex ladri, mendicanti brevettati
  e pidocchiosi d’ogni specie,
  Hanno tutti, come noi, diritto di governare,
  più di voi, ad ogni modo, poichè sono
  alteri amanti del rischio e del pericolo,
  ingoiatori di catene,
  equilibristi
  ritti sul margine insanguinato del Codice,
  ginnasti lanciati sul trapezio delle leggi,
  che bevono l’avventura nella polvere
  incendiata e nel vento delle strade maestre!
  Essi ben sanno come si mordono le dita
  a un poliziotto che vi malmena le costole
  a ginocchiate….
  La sommossa, la lotta e l’insidia paziente,
  la guerra cauta, l’assalto a corpo a corpo
  sono mestieri per loro…. Non hanno più niente da perdere,
  e perciò sono completamente disinteressati!

  Le finestre e i balconi traboccano di deputati.
  Possiamo dunque aprire la seduta all’aria aperta.
  La piazza è vasta. Quel monumento
  di generale defunto è già carico
  di frutta umane chiassose,
  bel trionfo da tavola che odora
  sulla tovaglia smagliante
  tra la pioggia adamantina delle lampade elettriche!…
  Quello è il settore degli assassini.

  Sui tetti dei tramvai, le prostitute
  che già vi stanno arrampicate
  faranno vento agli oratori con la flora e le penne
  dei loro cappelli tropicali
  caduti giù dalla luna in riva a un fiume africano.
  Silenzio!… I pederasti s’avanzano cantando.

      __Coro dei pederasti.__

  Noi amiamo le rovine,
  vecchie pietre e vecchiotti azzimati,
  vecchi sfinteri
  e vecchi legni preziosi intagliati!
  Amiamo le rovine!
  E chiniamo la schiena,
  la sera, davanti alla storia,
  nel Colosseo e nel Foro romano.
  Poi ognuno di noi
  si dondola sull’ànche….
  e ci prendiamo pei fianchi
  giocando a rimpiattino
  lontano dalla donna importuna!
  Sveniamo alle carezze
  che la brezza trascina
  nel molle chiaro di luna!

      __Gli studenti.__

  Bravi! Bene! Bis! Bis!

      __Coro dei pederasti.__

  Noi siamo i pederasti,
  giocondi amanti delle cadenti rovine.
  A piccoli passi brevi,
  stretti i gomiti ai fianchi,
  sventolanti le mani
  i pederasti si dimenano
  passando per le vie….
  Sospirosi, alta la testa,
  socchiusi gli occhi, la bocca spasmodica,
  lontano dalla donna importuna
  i pederasti tettano inebriati
  il latte del chiaro di luna!…

      __Un assassino__
      _(con voce formidabile, tendendo il pugno)._

  Io sono designato per diritto naturale
  ad essere vostro presidente, o signori!

      __I Deputati socialisti__
      _(dai balconi)._

  Il presidente esiste. Abbiamo bisogno d’un arbitro
  capace di decidere fra noi e l’Austria.

      __L’assassino.__

  Arbitro e presidente! Mi eleggono tale
  i miei polmoni dominatori e i miei pugni!
  Ma preferisco proporvi d’eleggere
  il mio amico Palla di ferro.
  E’ un ex galeotto dal soprannome simbolico
  che scappò un giorno dalla galera
  portando via, in tasca, semplicemente,
  la palla che aveva al piede….
  Non ha ancora ventott’anni,
  e porta sulle spalle con grande disinvoltura
  più di cento condanne.

      __Coro dei pederasti.__

  Oh! com’è bello, oh! com’è bello,
  l’amico Palla di ferro!…

      __Mirella,__  _pederasta._

  Io propongo per arbitro la mia amica Ideale!
  E’ muscolosa e forte come un diavolo!
  L’altro giorno, irritata
  dalla troppo intraprendente tenerezza
  d’un grosso frate vizioso
  che le palpava le natiche nel salire le scale,
  la mia amica Ideale
  lo fece ruzzolare fin giù dal portinaio
  con un lieve buffetto!…

      __Ideale,__ _pederasta._

  No! Mai, bella Mirella!…
  Io non posso, lo sai, nè sedermi,
  nè camminare…. Ho male per tutto il corpo!…
  Come potrei discutere da un seggio?
  Propongo che si elegga Volantina!

      __Mirella.__

  Cattiva! Cattiva! Mi tradisci già?…
  Volantina è una porcona!
  M’ha rubato poc’anzi il mio bel ventaglietto.
  Scegliamo Primavera…. la più saggia
  fra tutti i pederasti!…

      __Coro dei pederasti.__

  Sì! eleggiamo Primavera!
  Primavera sarà l’unico arbitro!
  Primavera, ogni sera,
  batte il marciapiede
  come una iena!…

      __Mirella__
      _(intenerito)._

  Ed è per dar da mangiare a sua madre!

      __Un mendicante__

  Domando la parola!

      __Tutti.__

  No! No! Primavera è già eletta!

      __I deputati socialisti.__

  Parli il mendicante!
  La parola al mendicante!…

      __Il mendicante__
      _(dall’alto d’un carretto)._

  Ho qui, in questa piccola scatola,
  quel che ci occorre per arbitro!
  Ora vi faccio vedere….
  E’ una cimice!
  Una giovanissima cimice ammaestrata!
  Non vi pare che debba essere
  la nostra sola regina?
  Regina assoluta
  del regno immenso della miseria!
  La sua competenza in materia di sangue
  è riconosciuta!… Propongo
  l’elezione della cimice!

      __Coro dei pederasti__
      _(tutti si coprono gli occhi coi loro ventagli)._

  Oh! che porco! Che porco!

      __Le cortigiane.__

  Mio Dio!… Fra poco saremo tutte piene di bestie!…
  Che immonda compagnia!…
  Andiamo, andiamo via, cara!…

      __Le puttane.__

  Noi vogliamo la Cimice! Sarà il nostro arbitro!
  Le cimici sono le nostre amiche preferite!
  Quante volte riempirono d’incanto
  le nostre notti di voluttà!
  Son gli usignuoli dei nostri amori,
  al chiaro di luna della lampada fetida!

  __Tutti.__

  La cimice è eletta
  a maggioranza di voti!

  __Un Deputato socialista__.

  Mi sia permessa un’obiezione…. Mi sembra
  che dopo tutto, se voi preferite
  una cimice ad ogni altro rappresentante,
  quasi quasi….
  altrettanto adatto….
  Sua Santità il Pontefice!…
  Poiché il sangue non fu ancora versato,
  accettiamo l’arbitrato che ci propone L’Aja…
  E sia nostro arbitro il Papa!

      __Io.__

  Andate! andate a cercarlo
  al Vaticano!…

      __La folla.__

  Non c’è più! E’ scappato!

      __Uno studente.__

  Fu rapito da poco!

      __Un altro studente.__

  Come una bella ragazza!

      __Terzo studente.__

  Rapito in automobile.
  Aveva per amante uno chauffeur!

      __Io.__

  No! No! In monoplano!
  Ed ecco qua il vostro arbitro che dondola
  sopra le vostre teste!…

      __I deputati socialisti.__

  Accettiamo l’arbitrato!… Armistizio! Armistizio!…

      __Io.__

  Socialisti! Deputati e ministri!
  Repubblicani! Conservatori!
  Volenti o nolenti, avete ormai
  dichiarata la guerra!
  Dunque tacete! E’ finita, l’opera vostra!
  Ora andate a nascondervi nelle cantine,
  per riposare i vostri cuori
  attanagliati dalla paura,
  e le vostre lingue, erbe striscianti,
  agitate per troppo tempo
  dall’onda delle minchionerie!
  Poichè finalmente siamo noi,
  grandi uccelli rapaci, ad avere il potere!
  Vi eviterò la fatica di rispondere
  agli ordini di Rothschild!
  Guardate! Salgo con questo bel pendolo,
  per rovesciare, lassù,
  l’antenna che raccoglie i vostri telegrafi
  e i vostri telefoni senza fili!
  Cessate di sbraitare!
  La guerra, la facciamo senza di voi!…
  Per fortuna!…
  Io dondolo avanti e indietro la pancia solenne
  del Santo Padre, in modo che urti l’antenna….
  Basterà un colpo solo….

  Suvvia! Non gridate!…
  Nulla può più arrestarmi! Vecchio pendolo, avanti!
  Làsciati cader giù pesantemente!
  Così!… Piangi?… Hai paura?
  Paura di sfracellarti?… Sciocchezze!…

  Godi, piuttosto, a divertire la gioventù!
  Sono gli studenti che applaudono
  quando tu scivoli sulle tegole,
  aggrappandoti perdutamente a destra e a sinistra,
  sui margini estremi dei tetti,
  a picco sulla fragorosa agitazione
  della folla in tempesta!

  Tu non cadrai, perchè ti tengo a guinzaglio….
  E puoi veramente esser fiero
  di simulare così la grandine, sulle vetrate,
  con i tuoi grossi mazzi di rosarî
  tintinnanti, e di scapolari….
  la grandine e il tuono,
  con i tuoi piedi piombati dai rimorsi dei secoli!…

  Tu fai finalmente la pioggia e il bel tempo,
  come Giove, tuo predecessore,
  del quale hai preso il posto….
  Lo vedi: il tuo regno è finito!
  Ti si rimanda in cielo, d’onde fingesti di venire…
  Tutti questi ciarloni, vedi, malgrado la loro viltà,
  non ti temono affatto….
  Stanno ritti sui loro gradini,
  a bocca spalancata, nel buio,
  come al cinematografo!…

      __Uno studente.__

  L’antenna cade! E’ caduta!
  Telegrafi tagliati! Telefoni spaccati!
  Il Parlamento è morto! Il Parlamento tace!

      __Gli studenti.__

  La pace imputridisce,
  ma la guerra guarisce!…
  Viva la guerra! Abbasso la pace!
  Lasciate dunque che entrino in casa nostra
  codesti cani d’Austriaci!
  Dovranno esaurire le munizioni
  sopra i nostri ruderi ed i nostri musei!
  A meno che non preferiscano inginocchiarsi
  per leccare la polvere dei nostri avi!
  Poichè sono antiquarî e tristi passatisti!
  Poi spazzeremo via, alla rinfusa,
  tutti codesti nuovi soldati del Papa,
  con tutto il bric-à-brac
  e coi tronconi delle nostre statue
  che profanano l’Italia!…
  La pace imputridisce!
  La guerra guarisce!…

  O luna piena di luglio,
  questa sera, alle dieci,
  tu avrai l’onore di presiedere
  al gran congresso sindacalista contro la guerra!
  Suvvia, sbrigati!… Vedi? M’affretto….
  Son già le nove, e fra poco
  vedremo spuntare all’orizzonte,
  come proboscidi sollevate di elefanti,
  i possenti fumaioli di Milano!…

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  7.  I SINDACATI PACIFISTI.

  O luna piena di luglio,
  tutte le mie cellule, te lo confesso,
  godono dei tuoi raggi, freschi, ingenui,
  che hanno il colore della felicità
  assoluta!…
  Tutti i profumi dei fiori, dei frutti,
  e dei fieni accarezzati dalle tue frangie di luce
  si fondono coi miei sensi che sospirano:
  «Al diavolo la guerra! Lasciateci dormire!
  Tenerezza, armonia, fusione, sonno e morte!»
  Sono quelle, sai, le cellule passatiste
  stanche di lotta, desiderose di morte….
  Cellule agonizzanti che cascate dal sonno
  in una insidiosa voluttà,
  ecco, per voi, qualche cosa d’immondo,
  d’ostile e di nauseabondo, che vi raddrizzerà!…
  Su, coraggio!
  Ognuno al vostro posto, camerati!

  Vedete, sotto i miei piedi,
  salire in grossi ribollimenti
  quel grasso fumo viscoso
  che sta per dare l’assalto alla fragile luna
  e per insudiciarne
  le diafane mani, tutte ingemmate
  di lagrime pure?…

  Mi dondolo su tre fabbriche
  di concimi azotati e di nero animale….
  Le vedete?… Vi amo, forti officine, accosciate
  su leve e bascule invisibili,
  che spingete sempre più in alto
  le grandi balle d’un fumo massiccio!…
  Ma sì, sputate dunque, a bocca piena,
  contro quella luna testarda e maniaca,
  che vuole imporvi i suoi travestimenti egiziani!
  Ah! ah! S’è divertita a coprire
  i vostri fumaiuoli
  di vecchie pelli d’obelischi!… Che schifo!

  Forse la luna li strappò alle piramidi,
  quei mantelli turchini
  che drappeggia sui mucchi di letame e d’ossami
  dall’odor caldo, forte e accanito!…
  Tu vuoi–non è vero?–abbellirli
  di nostalgia commovente,
  o stupidissima luna!

      __Le officine.__

  Eh! via!… Noi vogliamo puzzare
  per appestare il chiaro di luna
  vile, soave e tutto intriso
  di ricordi piangenti!…
  Per questo ergiamo il cespuglio colossale
  dei nostri atroci odori,
  alimentati senza fine dalla macerazione
  e dalla dissoluzione irritata
  delle materie organiche,
  immerse in vasti bagni d’acido solforico.

      __Le concerie.__

  Noi vogliamo puzzare
  per offendere le nari sensibili delle nuvole!…
  O sublime fetore della vita,
  o divina sporcizia della lotta!…
  Tutto ciò che ha profumo muore!…

  Il mio monoplano attraversa
  gli odori ruggenti delle officine arcigne,
  che minacciano con tutti i loro pugni astiosi
  la tenerezza gracile e ipocrita della luna….

  Milano è sotto i miei piedi….

  Le alte mura romane dell’Arena
  più cupe e notturne che mai,
  simili alle banchine possenti d’un gran porto atlantico,
  stanno certo per cedere
  al battito formidabile di quest’oceano umano!
  La folla rotola monotona, oscuramente,
  le sue masse pullulanti
  e le sue voluminose colate!
  Trecentomila operai,
  fiume immenso di cappelli di paglia
  dai fulgori metallici sotto gl’inaffiatoi
  abbondanti e troppo azzurri
  delle lampade elettriche!…

  Guardate: per quella porta
  che non può più resistere
  la folla s’ingolfa mareggiante e vorticosa,
  spremendosi con tanta violenza
  che ne sprizzano in alto innumeri biciclette.
  Ognuna solleva la sua al disopra del capo,
  rovesciata, a ruote all’aria!
  Sono le ruote simboliche della velocità ideale
  portate in processione lentissimamente.

  Non v’è modo di correre, entrando,
  per quanto affascini e attiri
  il fragore del mare umano
  che s’allarga gaudioso nell’immensa arena.
  La crepitazione delle lampade elettriche
  che s’accaniscono a imbellettare le muraglie
  di indaco e di gesso abbagliante
  esaspera la folla ribollente.

  Ritto sul tetto d’un tramvai,
  un oratore scoppia torrenzialmente
  come la bocca vomitante d’un ubbriaco,
  come la voce stessa delle lampade elettriche….
  Io lo sorpasso e mi libro sugli studenti,
  marea variopinta di cappelli,
  che par carica di frutta e di fogliami….

  Vedo sopra di me,
  affacciate intorno allo Zenit,
  tre grandi nubi incartapecorite e brizzolate,
  un po’ scapigliate dall’alito,
  della luna piena che sale….
  Finalmente s’affaccia, la luna,
  al frontone del pulvinare,
  subito divulgando con la sua grazia persuasiva
  le sue dolci verità disilluse
  sulla folla impeciata di notte astiosa.

  Poi la luna, tutta bianca, si china attenta
  ad ascoltare il vocìo degli studenti
  che respingono a pugni, brutalmente,
  gli operai sudanti e scamiciati
  e le loro donne spaurite
  dalle chiare camiciole sventolanti….
  Esibizione vasta d’oscena miseria
  nel vaporare caldo degli aliti,
  forato qua e là da acquazzoni
  di luce gessosa!…

  O luna piena, affrettati ad abbellire
  questa gran confusione d’immondizie agitate,
  fiorite di facce-stracci
  e di camicie spiegazzate come carte sporche!

  Ecco la folla, ocellata di vecchi cappelli di paglia
  dai nastri neri che fingono
  gli amoerri elastici del mare!
  Ecco l’immenso materasso
  delle forze popolari, vivo e sordido,
  e sfondato, e sventrato….
  Ed ecco la sua imbottitura:
  canape, lana, cotone, peli e capelli,
  carne sudante, stupidità,
  e tutto questo sprizza da mille fori
  sotto la forza tagliente
  delle grandi parole stupefatte,
  che tutto càrdano
  con brutalità!…

  Là giù, in mezzo a quel brulicare di vermi,
  vien sollevato un fantoccio….
  Ah, no! Un oratore….
  La folla ha brividi d’attesa curiosa….
  Si tratta, a quanto pare, d’un grande amico del popolo:
  un anarchico cieco
  che si solleva da terra, nelle grandi occasioni,
  come una statua miracolosa.
  Chi l’ha galvanizzato? Le sue braccia,
  lugubri rami, scorrono nel vento della sua voce….
  Il silenzio si propaga lentamente
  come una globulazione d’aria nell’acqua….
  La noia grigia e la monotonia
  delle solitudini vulcaniche
  copre di ceneri la folla,
  immota in un religioso stupore….

      __L’anarchico cieco.__

  Guardatevi dall’obbedire ai sinistri assassini
  che vogliono condurvi
  al loro sontuoso macello!….

  Ah! ah! la sua voce non oltrepassa
  uno spazio di cento metri.[*full stop?]
  tra le febbrili contorsioni di quell’estuario umano….
  Vi si vede agitarsi–come un turacciolo–
  un secondo oratore affannato e rantolante
  sotto le bastonate inflittegli spietatamente
  dall’ombra dei suoi gesti.

      __Io.__

  Chi ti strangolerà, o tribuno,
  o inesauribile capezzolo di stupidaggine?
  E tu, folla, poppante informe
  flaccido e immenso, dalle gambe fasciate,
  non sei nauseata dal latte
  delle sue promesse?…
  Vagisci tristemente nella tua culla:
  la terra, dalle monotone cantilene….

  Da una scatola a sorpresa salta fuori
  subitamente un terzo oratore…..
  Questo fiammeggia come un cannello ossidrico,
  col fuoco trivellante e diritto,
  di una rossa eloquenza….
  Da ogni parte, su tutti i punti dei gradini,
  tre, quattro, venti cannelli identici ruggono
  sputando le loro ciarle astiose
  per intaccare la grande folla operaia,
  gran mucchio di metalli grezzi,
  e di scorie carbonizzate,
  ferraglie e chiodi che vorrebbero essere infornati
  nel più grande cannone del mondo!…

      __Io__

  Non li seccate, dunque, con la stupida Pace!
  A che serve offrir loro quel piatto immondo
  che dà la nausea?
  Non domandano di meglio che di saltare in aria!
  I loro occhi attendono lo scoppio delle fortezze,
  il barcollare delle corazzate briache fradicie,
  e sverginate dagli obici.
  Le loro nari sognano del profumo
  pungente e violaceo della polvere….
  D’altronde, non avete più gas nei vostri tubi,
  o cannelli ciarloni!…
  Le vostre fiamme oratorie si ripiegano e strisciano…

  Non già per ascoltarvi,
  ma per osservare meglio le traccie
  della vostra cupa e bruciante stupidità
  in questa folla,
  io discendo e m’aggrappo,
  poggiando le ali del mio gran monoplano
  su questi due capitelli romani…
  Ed ora fra le mie ruote si dondola con grazia
  il mio grosso pendolo futurista,
  il Papa!

  Subito un vasto clamore sommerge
  gli oratori, e la loro voce, e le loro braccia flagellanti.
  Un migliaio di bocche spalancate
  succhia lentissimamente la mia apparizione,
  fra il traboccare dei fetori acidi,
  il patatrac delle grida spezzate
  ed il flic-flac delle voci sozze….

      __Io.__

  O studenti! Operai! Non più discorsi!
  Voglio insegnarvi a fischiare gli oratori,
  poichè io stesso ho l’aspetto ridicolo
  d’un uccello appollaiato su un albero
  che stia arringando i pesci che girano nei vortici
  d’un fiume…. Voi siete nell’acqua sorda
  della folla, mentre io sono in cielo!

  Bisogna deridere tutti i ciarlatani,
  poichè l’eloquenza, stasera, potrebbe solo mentire.
  Si deve soltanto agire!
  Bisogna che quest’arena s’inclini ad un tratto
  come un’immensa brocca piena di vino sanguinante
  sulla frontiera, e l’inondi!
  La Guerra!… La Guerra!…
  Ecco tutto il mio discorso…. Esordio e conclusione!…
  Partiremo domani per la battaglia…
  Per divertirvi intanto, mentre s’aspetta l’aurora,
  ho preso al laccio questo bel corvo gigante!…

      __Gli studenti.__

  Oh! com’è bello! Oh! com’è bello!…
  Gettaci, gettaci il corvo! il corvo!

      __Un oratore.__

  No! no! il sangue non sarà versato!

      __Gli studenti.__

  I discorsi ci annoiano!
  Vogliamo il corvo!
  E bisognerà pure che il sangue sia versato!
  Peggio per voi!
  O il vostro sangue, o il nostro, operai pacifisti!
  Noi vi diamo battaglia appunto qui, stasera stessa!
  Due guerre invece d’una:
  ecco il risultato della vostra viltà.
  Le vostre facce verdognole
  luccicano di sudor freddo,
  come le foglie delle foreste spazzolate dai lampi,
  e il vento della paura vi sgocciola violentemente
  come fanno le cuoche con le insalate!
  Cessate di tremare. Sappiate che la guerra
  è un modo qualunque di far sciopero!
  La guerra cambierà tutto, completamente!
  Guerra vuoi dire officine chiuse, aria aperta.
  Guerra è libertà d’uccidere chi si voglia!…
  Non più capi operai!
  Gli ufficiali sono occupati a morire bene,
  precisando la morte degli altri.
  Si può scegliere il proprio bersaglio,
  e questo è più divertente d’un gazometro,
  e assai meno pericoloso!
  La guerra è la rovina del padrone,
  che mentre essa dura non può continuare
  ad arricchirsi!…
  Vittoria o sconfitta, il padrone sarà povero
  come voi!

      __Gli operai pacifisti.__

  A morte il bruto! A morte il cannibale!
  Facciamo a pezzi il signore che vive di rendita!
  A morte l’assassino! A morte!…

      __L’anarchico cieco.__

  Operai! Guardatevi dall’obbedire
  a questa spaventevole febbre di sangue!
  Noi non combatteremo contro i nostri fratelli operai,
  sindacati come noi al di là dei confini!
  Si dice che l’Italia venne offesa
  con degli sputi in faccia!… Ebbene:
  peggio per lei!… L’Italia è in pericolo?
  Io me ne infischio!… Che m’importa
  della forma dei governi, del colore della bandiera?
  Pensiamo a noi, i Senza patria, gli Schiacciati….
  Trieste e il Trentino non valgono le nostre ossa!
  Se cederete agli assassini che ci governano,
  ottocentomila poveri diavoli
  che non si conoscono
  e non hanno nessuna ragione di volersi del male,
  si precipiteranno
  gli uni sugli altri per scannarsi a vicenda!…
  Ed avremo la guerra, lugubre infamia,
  negazione di tutto ciò che dimostra
  la superiorità dell’uomo
  nella scala zoologica!
  Non possiamo accontentarci
  di dichiarare lo sciopero!…
  Dobbiamo decidere il sabotaggio
  delle stazioni e delle ferrovie!…

      __Un socialista riformista.__

  Ammetto il sabotaggio dei fili telegrafici,
  poichè non compromette nient’altro
  che dei dispacci inconcludenti,
  ma mi dichiaro nemico
  di quei mostri dal volto umano
  che schiodano le rotaie!…

      __Un oratore.__

  E’ un venduto! Lo denuncio all’assemblea!
  Che cosa facevi, ieri sera,
  mentre io stavo levando a una a una
  le rotelle del gran disco
  che regola l’ingresso alla stazione?

      __Un altro oratore.__

  Egli ha rubato sulle spese di propaganda! Scroccone!

      __Il socialista riformista.__

  Guardate; resto freddo
  sotto questo torrente di fango!
  Sono dunque, agli occhi vostri, un uomo intento
  a disorganizzare il sindacato dei ferrovieri!
  Mi hanno già messo all’indice!
  Il Consiglio mi ha persino rifiutato
  a dei gruppi che volevano
  conferenze tenute da me!
  Lasciatemi parlare!…
  Mi sta a cuore lavarmi dall’accusa!

      __L’anarchico cieco.__

  No! No! Vi sono ancora più di venti oratori
  già iscritti!
  Domando al Congresso
  una seduta di ventiquatt’ore di più
  che continui giorno e notte!
  Propongo che la parola sia data
  a otto oratori soltanto….
  quattro per ogni tendenza!…

      __Il socialista riformista.__

  No! Ognuno dei sindacati è autonomo
  secondo la tendenza dei suoi aderenti!
  Tu sta zitto!… Hai preso la parola
  senza curarti del turno!

      __Il Presidente.__

  La seduta è tolta! La discussione
  sarà ripresa
  in seconda seduta notturna!

      __Io.__

  Suvvia, poveri ingenui….
  Tutti si burlano di voi!
  Non c’è sciopero, in Austria!…
  Operai e padroni, contadini e ricconi
  marciano contro di noi,
  burlandosi delle vostre discordie!
  Credete dunque che sia superiore,
  e ragionevole, e saggio,
  ciò che fate ogni notte?… Che cosa sono
  le battaglie convulsive a cui vi date,
  a colpi di grossolano piacere,
  sul corpo vile e stupido della vostra femmina
  sventrata, che invariabilmente inchiodate sul letto
  con un gran chiodo piantato fra le coscie?
  Non è, anche questa, violenza,
  brutalità, lotta accanita,
  sanguinosa aggressione notturna,
  con sudore e morsi,
  perchè alla fine dell’anno la vostra sposa
  abbia squarciato il ventre
  dall’obice d’un cranio neonato,
  il quale, venendo alla luce,
  non può che lottare e ferire?
  Differenza dei sessi: battaglia in un letto.
  Differenza dei ventri: battaglia ancora e sempre
  intorno ad una cassaforte!
  Io vi propongo di lottare e morire
  per una parola divina: Italia! Italia!

      __Un oratore.__

  Bisogna che tutti i treni militari deraglino!

      __Io.__

  Oh! via!… V’aspetto per colpirvi,
  ma non in nome dell’ordine che mi è ignoto.
  Non sono un poliziotto.
  L’autorità non esiste più! Nel cerchio
  crescente, illimitato, delle libertà assolute,
  voi sbraitate contro la guerra,
  mentre noi la glorifichiamo!…
  Ma quanti siete, voi?… Poche migliaia!
  E come mai volete ch’io prenda in considerazione
  il vostro piccolo volo di tafani importuni
  sulla groppa del toro patriottico
  che s’avventa contro il nemico
  in questo canicolare meriggio di guerra?…
  Voi non avete che la vostra viltà!…
  Io vi oppongo il mio coraggio
  e la mia Browning!…

      __Il Presidente.__

  La seduta è tolta!…

      __Io.__

  Chi, fra voi, vuol giocare la sua pelle
  per arrestare la guerra?… Nessuno!…
  Sarebbe illogico, infatti, preferire
  un Italiano a un Austriaco,
  quale bersaglio!…
  Voi non amate nè i bersagli nè le armi!
  Avete le vostre pantofole, il vostro letto,
  la vostra lampada che fumiga
  sulla minestra fumante,
  un guanciale di mammelle avvizzite,
  e una collana di chiassosi marmocchi!…
  Tenete per voi tutto questo!…
  Ho i miei muscoli, il mio coraggio,
  e un fucile preciso!…

      __Il Presidente.__

  La seduta è tolta!…

      __Io.__

  In fatto di sabotaggio,
  ammiro gli operai che stendono
  i loro corpi folli sulla strada ferrata
  per fare uscire dai binari
  i treni carichi di soldati!…
  Non è questo, lo so, il vostro metodo!…
  Quindi, io vi sopprimo,
  sabotatori prudenti!…

  E voi, miserabili che m’ascoltate
  in silenzio, là giù, sui gradini,
  voi che partite in guerra contro la fame,
  nei grandi forni delle capitali notturne,
  portando per armi l’uncino o il paniere
  curva la schiena sotto la gerla fetente!

      __Il Presidente.__

  La seduta è tolta!…

      __Io.__

  E voi, facchini, che scaricate
  i carretti degli ortolani
  tra i cavolifiori fradici,
  bocche selvagge di latrine!…
  Voi, che v’aggirate intorno ai macelli
  nel fetore tagliente delle concerie….
  Voi che disputate ai cani
  i grandi pasticci fumanti d’immondizie,
  incensieri venerabili dei mercati,
  il cui vapore pervertisce l’aurora….
  Voi che raccattate preziosamente questi tesori:
  detriti di carne, buccie di legumi,
  teste appassionate di pesci che rivivranno,
  in _bouillabaisses_ tonanti,
  nei vostri stomachi-cloache….

      __Il Presidente.__

  La seduta è tolta!

      __Io.__

  Spazzini! Vagabondi che frugate nei rigagnoli,
  contando e ricontando gli stracci,
  gli affissi lacerati e le scorie di piombo
  di zinco, di lana, di cotone e di rame,
  arruffio multicolore
  di sforzi verso la morte…

  Cenciaiuoli mal nutriti di rimasugli
  incessantemente colonizzati dai vermi….
  Collezionisti di trucioli e di mozziconi….
  Non è forse squisito il pane duro del soldato,
  per tutti voi che mangiate
  nausea bollente sotto i soffitti infeltrati di mosche
  delle cucine economiche?

      __Il Presidente.__

  La seduta è tolta!

  __Io.__

  Voi tutti, uomini _sandwiches_,
  ci tenete davvero, al vostro salario di venti soldi?
  Se almeno aveste di che pagarvi il vino
  ed il forte tabacco di cicche vecchie
  di cui avete bisogno
  per tener ritto nel fango il vostro corpo,
  quando tutt’a un tratto il vento insolente
  scambia per una sedia a dondolo
  il vostro cartellone, e vi si sdraia pesantemente!

  Permetterete ancora al Sole miliardario
  di mutarvi in sinistri inaffiatoi di sudore e di odio
  sul marciapiede fumante?…
  Gettate via le vostre divise imbottite di cimici!
  Non avete abbastanza grattati
  i foruncoli pieni di lagrime,
  della vostra pelle avvizzita?…
  E perchè temete dunque
  i fuochi di gioia della mitraglia
  e l’odore della polvere, disinfettante sublime?…

  Purchè non vi piacciano le babbucce di fango
  di cui l’inverno vi calza elegantemente
  e l’imbellettatura rossa e violetta
  di cui orna le vostre guancie e il vostro naso gelato
  che attirano gli occhi degli sfaccendati
  più del vostro cartellone variopinto!
  Tornatevene a casa, mettete a letto i vostri marmocchi,
  bastonate le vostre mogli se piangono,
  e trovatevi domani mattina alle cinque
  ben desti, immersi i piedi nel grasso
  delle vostre scarpe migliori!…
  Vedete? La luna piena,
  come un riflettore, immensificando il mio gesto
  fino all’estremità dell’arena,
  v’indica la stazione, all’estremità dì Milano,
  che non potrà, questa notte, dormire!

      __Un oratore anarchico__
      _(mi scaglia un fucile di legno, che io prendo a volo)._

  To’! Prendi, servitore!
  E corri lesto al confine!…

      __Gli studenti.__

  Gloria al monoplano futurista!
  Gloria agli operai guerrieri!
  Morte ai pacifisti!
  Dove sono? Scomparsi! Passati come sabbia
  attraverso il vaglio tumultuoso della folla!
  Gettaci il tuo vecchio papa!
  Ci divertiremo con lui tutta notte!…
  Non dormiremo. Berremo e canteremo,
  con donne seminude sulle ginocchia!
  Birra! Birra, padrona! La birra ha il sapore
  rinfrescante e grasso del sangue austriaco!…

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8.  VOLANDO CON LA LUNA.

  Saliamo più in alto, Santo Padre! Non ti dispiaccia!
  Passeremo un’ora a fianco a fianco con la luna….
  Vedi? La luna istruisce pazientemente le colline
  che volgono verso di lei facce sorprese
  di scolari attenti e saggi.
  Essa mostra loro le sue nuvole
  come belle immagini guerresche
  che passando le divertono e subitamente le oscurano
  di dubbio e di pensosa curiosità….

  Ma perchè quest’aria dolente?…
  In questo istante, i tuoi fratelli corvi
  probabilmente s’arrochiscono a gracchiar preghiere,
  o piuttosto complottano nei nidi fuligginosi delle sagrestie
  per nominarti un successore!
  Il Vaticano fra poco mostrerà al tramonto
  la sua enorme cupola tonsurata
  tutta irta dei suoi fumi, _papillottes_ bisunte.

  Io voglio dondolarti, questa sera,
  a picco sopra la casa
  della mia piccola amica che m’aspetta al balcone.
  Più in alto! Vuoi? Che delizia!…
  Mi sento, sono come una lingua felice
  nella freschezza fusa di una pastiglia di menta….

  La luna ha cagliata l’atmosfera,
  e si va scivolando su una crema soave
  che dovrebbe invischiare le mie ali, e che invece
  le sostiene delicatamente….
  Fra poco queste nuvole piovose,
  vasi tarchiati digradanti nello spazio,
  si urteranno alla prima ventata
  per lasciar meglio colare dalla loro pancia piena
  altri latticinî luminosi.
  E avremo sopra di noi, dentro di noi,
  il Niagara immenso del chiaro di luna!…
  Dovrai diventar bianco, serbatoio di tenebre,
  per non far macchia sulla brina radiosa,
  che imbrillanta la pianura….
  Una simile macchia potrebbe spaventare
  la mia amica affacciata al balcone….

  Vedo farfalleggiare la sua chiara figura.
  Il suo _peignoir_ che azzurreggia
  le inguaina i fianchi flessuosi
  e il dorso rosato dal riflesso della lampada interna….
  Senza vedermi, indecisa, imprecisa
  e affondata nel fresco, nell’azzurro,
  essa beve il vasto polverio dei suoni e dei colori,
  e il malinconico incanto dell’infinito….
  La sua casetta sorridente è imbellettata
  e incipriata meglio di una Parigina….

  O vecchio papa ballonzolante, t’accadde mai
  di contemplare orti divinamente assopiti e placidi
  come questi?
  Oh! io non ti farò certo il piacere
  di deporre la tua pancia ansimante,
  come uno sterco enorme,
  nel bianco paradiso della mia piccola amica….
  Guardati dal lasciarvi cadere le tue ciabatte
  sformate dai tuoi piedi di cammello!
  Passeremo presto sulla casa che sogna….
  Ecco, all’estremità del suo giardino
  le mille trecce del fiume,
  che sembrano trattenute alle tempie della collina
  da pesanti fibbie d’argento
  e da pendagli scintillanti
  di monetuzze infilate….
  Non fare tanto rumore, o mio cuore-motore….
  Potresti spaventarla!
  Quel carro, là giù, sulla strada
  la distrarrà bruscamente….
  Ho paura, ho paura che le sue ruote stridule
  e il suo beccheggiare d’elefante,
  e il suo sesso che gli rosseggia fra le zampe,
  interrompano le fantasticherie
  della mia dolce amica!…

  Ecco. S’è già mossa!…
  Finalmente vedo il tuo volto azzurro….
  E’ come un poco di chiaro di luna cristallizzato!
  Non tremare!
  Vedo crescere i palpiti del tuo seno
  fra la schiuma della veste leggera….
  Tu alzi le mani diafane, opalizzate,
  col palmo rivolto al cielo….
  Il tuo sorriso sta per piangere di delizia
  e di spavento…. Vedo brillare le tue lagrime,
  o piuttosto i tuoi bei dentini
  che sembrano filati in vetro di Venezia….

  Comprendo il tuo terrore a vedermi girare
  maestosamente come un grande uccello bianco,
  tanto in alto,
  nell’ammirabile chiaro di luna!
  Non temere! L’aria è tranquilla….
  Io mi trastullo in questa immensa vasca trasparente,
  piena d’un latte diafano….
  e mi volgo e rivolgo flessuosamente
  come un lungo pesce azzurro.
  Tutto s’intenerisce, vedendoti, amica mia….
  Laggiù, quei monti lontani di latta
  s’ammolliscono… E ve n’è uno che s’avviluppa d’ermellino
  per somigliare a quelle colline, laggiù,
  fatte d’una sostanza imponderabile….
  Mi par di vederle svaporare ad ogni istante
  e salire verso il cielo….

  Che mai vuole da noi quel branco di nubi galoppante
  che s’avventa contro la luna?
  Con un lungo sospiro, con un lungo riflesso melodico,
  la luna le dissolve già….
  Nulla resiste alla sua triste tenerezza,
  sorella della tua! Nulla resiste,
  tranne questo corvo di velluto nero che io fo dondolare
  come un giocattolo….
  La luna beve a lunghi sorsi
  le più lontane ombre dell’orizzonte….
  Non vedi? Quel tenebroso profilo di città merlata,
  oscilla lontano
  come uno scenario di teatro e dilegua
  filando via, sospeso a fili dì ferro invisibili,
  miracolosamente….

 

  Non tremare! Il silenzio è tanto grande
  e quelle tre nubi d’argento sono tanto vive
  e tanto attente,
  che stanno per cantare
  con la loro più bella voce di cristallo….

  E’ la tua voce, che sento
  tinnire dolcemente?
  E quest’altra voce, quasi altrettanto dolce
  non è tua cugina che tu hai ridestata?
  E’ lei, è lei, che soffoca le sue piccole grida
  e il suo pudore abbrividente, in camicia….
  Che cosa dite?… Mi chino e v’ascolto.

      __La mia amica.__

  E’ lui! E’ lui! Ne sono sicura….
  Ah! com’è bello!… Ho paura!…
  Scendi! Scendi!… E’ una pazzia volare così!…
  Ho troppa paura!…
  Non posso nemmeno guardarlo!…

      __Io.__

  Non andar via! Alza il capo, e sorridimi!
  Se il motore si ferma, sai pure che il mio cuore
  continuerà a rombare violentemente
  spingendo dritto avanti
  il mio bel monoplano dall’ali bianche!…

  Giro intorno, a duecento metri d’altezza,
  sul prato tutto impregnato
  del latte di materna felicità
  di cui volevi nutrire mio figlio,
  il figlio tuo, che io non ti feci….
  Per la seconda volta, io formo, volando,
  una corona terribile di spine
  sulla tua bella fronte che sanguina!…
  Suvvia! Non si tratta dì Cristo, nè di Calvario!…
  Ho sudicie le mani,
  viscoso il volto, e volo
  nella mia fetida doccia d’olio di ricino.
  Ma quando scendo, il tuo alito mi profuma….
  i tuoi prati indolenti mi lanciano a soffi
  l’odore ebbro dei fieni
  e il profumo del tuo seno inquieto,
  e la voluttà profonda della terra….

  Teneramente, teneramente,
  per imitare il molle abbandono delle erbe folli,
  il mio monoplano scivola
  col leggiero trasalire d’un canotto,
  alla deriva in questo fiume di latte,
  le cui rive sinuose non sono altro che nuvole
  intrise d’argento vivo!…
  Il mio corpo ha il desiderio
  e l’orgoglio sensuale che provavo, una volta,
  lasciando la mia bocca galleggiare
  a caso, sulle onde del tuo corpo….

  Il mio monoplano felice condivide il mio piacere,
  mentre contemplo tranquillo
  la minuziosa cura con cui la luna spiega,
  fino ai più alti fastigi dello Zenit,
  i suoi veli di turchese cosparsi di polvere argentea…

  Con instancabile arte ella si sforza
  d’abbellire senza fine l’arcata del cielo
  sotto cui la tua fragile casa incantata,
  che sembra aerea, s’avanza
  a piccoli passi ovattati….

  Ascolta lontano!… E’ la voce della luna….
  Comincia altissimo il suo canto,
  sul picco di una nota acuta inaccessibile,
  poi ruzzola giù, fino alla nota tonica,
  per due sentieri melodiosi, paralleli,
  dagli scoscendimenti spasmodici
  che la costringono a saltellare soavemente!…
  Il doppio canto della luna s’arresta
  –ascolta!–improvvisamente,
  al muro di un’azzurra finale
  che soffoca ed atterrisce!…
  Non è questo il simbolo musicale
  dei nostri destini cantati?
  Io so, io so quel che pensi e non mi dirai….
  Come sarebbe bello starcene tutti e due
  sul tuo balcone, al quale ci si affaccia
  in abbandono, a respirare amore, dolcezza imprecisa,
  fino al momento in cui la penombra
  intima della camera ci chiama nei cantucci
  verso una delizia più precisa,
  verso un maggior piacere acuto e intenso!…
  Come sarebbe bello starcene l’uno accanto all’altro,
  affacciati nel fresco immenso silenzio,
  e con aperta la bocca ai granelli sparsi o volanti
  dei rumori minuti, delle voci
  lontane, sempre più tenui, e bevute
  dai vapori dell’orizzonte!

  Sentiremmo salire alle nostre mani,
  alle nostre braccia, alle nostre guancie,
  la tremula acqua pesante,
  tutta piena di pruriti, l’acqua vasta
  dei baci e delle carezze,
  che bruscamente crolla in calda cascata
  sulle nuche, e le piega!…
  Per desiderarci di più! Per desiderarci di più!…
  Fino al momento confuso
  in cui non ne possiamo più!
  I tuoi occhi supplicano ancora!… Si tarda!…
  Si prolunga ancora l’attesa!… No, no, basta!…
  La tua mamma s’addormenta già
  nel suo seggiolone, presso la lampada
  velata di rosa…. Tu alzi
  il roseo braccio ignudo per abbassarne la fiamma.
  Le mie labbra frettolose ti sfiorano l’ascella….
  Allora, a passi cauti di lupo, tu mi trascini
  verso la vaga mollezza del divano amico….
  Il tuo sorriso azzurro che brilla e si lagna
  mi sussurra: «Ella dorme!…» Ed è la tua voce,
  già bagnata, un po’ rôca, imbavagliata….
  Oh! non ne hai colpa tu, mia piccola amica,
  se ti faccio oscillare sopra la testa un papa!…
  Facesti tutto quello che dovevi
  per farti adorare senza fine, perdutamente….
  E m’hai offerto una grande felicità,
  tutta la felicità terrestre,
  fra le tue mani graziose, appetitose,
  che sembrano da mangiare, da bere, da suggere,
  frutti e fiori dei paradisi d’una volta,
  giocattoli, dolci squisiti,
  per la mia bocca infantile, merende divine
  di tutte le belle domeniche
  non ancora abolite dal mio cuore futurista!…

  Ma quella felicità non bastava, purtroppo,
  al barbaro febbricitante che ingigantisce nella mia pelle!…
  Chimico, fisico, curvo,
  sulla miscela di me stesso,
  io stavo preparando la nuova fusione
  della felicità metallica!…

  Grazie, grazie ugualmente, mia piccola amica,
  per l’amorosa tazza di the, dissetante e profumata,
  che ho lungamente bevuto fra le tue labbra calde!…
  Grazie, poichè mi ha brutalmente, d’un tratto,
  raddrizzato lo stomaco ed il pensiero bellicoso!…

  Discendere in quel recinto?… Tu scherzi,
  amica mia!… Le tue messi, i tuoi pascoli,
  il tuo giardinetto gentile,
  con le sue aiuole ingenue, attente, immateriali,
  e coi suoi bianchi sentieri obbedienti,
  e con le sue piante parlanti, dalle foglie aggraziate
  riccamente ornate di perle!…
  Eh! via!… Un trampoliere gigantesco quale io sono
  con ali tanto possenti
  devasterebbe, scendendovi, un simile paradiso!…

  No, no, piccola amica! Io non posso
  farti una visita, stanotte….
  Perdona, dunque la scortesia involontaria.
  Addio, piccola amica!… Devo portare altrove
  questo grosso papa in catene!
  Tu mi segui cogli occhi, tenendo pei fianchi
  la tua cuginetta che ride, ed io odo
  il tuo pensiero:
  «Oh incorreggibile monello!
  Non potrai mai calmarti, mio grande ragazzo?…
  Quale nuova pazzia vai macchinando?
  Che cosa porti appeso al tuo monoplano?…
  E’ un fardello pesante, ma sembra vivo….
  Vieni qui…. scendi nel prato…. Lo vuoi?…»
  Ma io non ti rispondo e salgo nell’effusione
  dello scetticismo azzurro… D’altronde,
  nulla potrebbe colmare il mio cuore
  spalancato sotto la luna!

  Vedo la tua figurina elegante
  strettamente avvolta nella viva tenerezza
  della veste bianca! La tua snella figurina
  trascolora piamente
  nella castità del paesaggio….
  La tua casetta d’un grigio di cenere,
  si disgrega e sviene lentamente….
  E la cesta fiorita del tuo balcone se ne stacca,
  per salire lenta ed offrirti
  perdutamente alla luna!…
  Voleremo insieme nei dominî del vento,
  o casetta dell’amica, o casetta di Nazareth,
  sulle vostre slitte di nubi perlacee
  trainate dal volo melodioso degli Angeli.
  Tutto è bianco, tutto è bianco, tutto è bianco,
  se m’allontano stanco dalla lussuria
  e dal sangue!
  Piume di tenerezza…. Cadenze vellutate….
  Il mio monoplano sì confonde
  nel coro dei serafini….

  Troverò la mia mamma
  sul margine di quella stella, e le parlerò
  così vicino al suo viso
  che le sue lagrime coleranno sulle mie guancie….
  In ginocchio, in ginocchio le chiederò
  se i suoi occhi che adoro videro il Paradiso!

  Oh! tormento sinistro!… Quando, quando potrò
  annientare tutto il veleno di Cristo,
  nelle mie vene antiche?

  Mamma! Mamma!
  O tu che non sei morta e che porto in me!
  O lontano paradiso, irrigato di lagrime….
  o risacca gemente di rimpianti eterni….
  triste oceano di pianto, dalle scogliere di bronzo….
  Nilo di tenerezza dal vasto sorriso soleggiato!
  Mamma! Mamma! Dimmi tu se ho torto
  di sollevare il mio cuore
  ben alto, al disopra dei profumi opprimenti
  della carne, al disopra dei ghiacciai
  della tristezza superba,
  nei venti! nei venti! fra le tonanti
  mascelle della folgore!

  Oh! dimmi tu se ho torto di colorire d’aurora
  e di sublime, e d’ideale, e di divino,
  il sangue impetuoso che mi mettesti nelle vene!
  Dimmi tu se ho torto di coprire di lava
  l’orgoglio fisiologico che ti rendeva altera
  del corpicino già muscoloso che cullasti!…

  Lancio così la voce del mio dolore notturno,
  nel cielo aperto, al largo di questo mare di latte,
  come una rete immensa,
  munita d’ami che tremano….
  Ma voi non volete lasciarvi prendere,
  stelle dell’assoluto, squamate o guizzanti!…

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  9.  L’ESECRABILE SONNO.

  Suvvia!… È un’indecenza! Svegliatevi!
  Presto! se non volete che io sfondi
  le vostre finestre con un colpo d’ala!
  Credete dunque molto bello ciò che fate,
  sdraiati, là, nei vostri letti, a gambe aperte,
  con le mani tra le coscie
  o coricati sul fianco con le ginocchia piegate,
  oppure con le gambe allacciate
  a quelle dello vostro donne?

  Voi meritate che gli obici
  sfondino a un tratto i vostri tetti e vi schiaccino,
  marmellate coniugali!
  Puah! sembrate caduti a terra,
  piatti come sterchi di vacca!
  La guerra! La guerra!… Capite,
  udite questa grande parola: la Guerra?
  Su! E’ semplicissimo! Bisogna balzare in piedi!
  Su ritti! Spalancate
  le vostre finestre ed i vostri balconi!
  Aprite tutte le porte! E uscite
  dalla prigione del sonno,
  per seguire a ritmici passi la Guerra,
  liberatrice di schiavi!

  Ma voi russate! E’ vergognoso,
  è indecente, è immondo!
  Tutti, giudici e agenti di polizia,
  vi dichiarano che non si può
  copulare in mezzo alla strada,
  nè pisciar fuori dagli orinatoi,
  nè palpare le donne nella folla,
  nè violare i ragazzini….
  Eh! via!… Si tratta di ben altro!…
  Il sonno! Il sonno! Ecco l’unica,
  la più esecrabile immoralità!…
  Dormendo–capite?–dormendo,
  voi offendete le leggi sublimi della vita!
  O Sole! O Sole! fracassa
  tutte le vetrate della città,
  e spazza fuori dalle case
  tutti questi poltroni
  che hanno l’inaudita impudenza di dormire!…
  In verità, lo stomaco mi si rivolta!
  Oh! le pesanti esalazioni di tanti sonni!
  Che nausea!

  Per fortuna, vi sono ancora
  quelli che non vogliono mai andare a letto
  perchè hanno orrore del letto!
  Vi sono quelli che amano alzarsi
  la mattina, prestissimo,
  e che se ne vanno, orgogliosi di essere soli,
  con le loro canne da pesca sulla spalla,
  o col fucile ad armacollo,
  verso la pesca o la caccia!

  E infatti, dormono forse gli uccelli?
  Ascoltate il gran popolo dei passeri,
  che cinguetta sugli alberi,
  rumorosi teatri dai cupi gradini!…
  E le rondinelle sputate dai fucili del vento,
  le rondinelle che mescolano, lacerano
  e arruffano i loro voli capricciosi, le udite?
  Passeri e rondini non dormono,
  o, per dir meglio, non dormono più!
  Tutti gli uccelli si ribellano, gridando il loro disgusto
  sul nauseante brodo fangoso
  che il sonno distribuisce prodigalmente
  in fondo ai refettorii mefitici della notte.
  Quanto a voi, Italiani, che udiste
  ieri sera le trombe squarciate
  della guerra, che fate là immoti,
  già predisposti alle cure delle tenebre,
  imbalsamatrici di cadaveri?…
  Che fate, infornati e caldi
  nella farina delle vostre lenzuola,
  come pani di cui la morte regolerà la cottura?
  Non vedete che le case non dormono,
  con le loro chiare facciate che aspettano,
  agitate da angosciosi riflessi,
  la festa dall’aurora?

  Non vedete che le acque non dormono?
  Fiumi, canali e ruscelli,
  non dormirono mai!
  Scorrono sempre gridando:
  «Senza riposo! Senza riposo! Senza riposo!…»

  E le puttane, dormono forse?
  Irrequiete sotto la dirotta pioggia elettrica delle lampade,
  dànno la caccia ai sessi impazziti
  che la notte ha stanati….

  E i cani dei carrettieri?
  Camminano abbaiando di tanto in tanto
  fra le ruote tonanti
  dei carri colossali….

  E gli automobili di piazza, dormono forse?
  Ah! no!… Sempre desti.
  I loro chauffeurs, i loro motori,
  che sonnecchiano appena,
  son sempre pronti a partire,
  tra le gialle fiamme, chiacchierone e smorfiose,
  dei lampioni che fanno lunghi inchini….
  Sia gloria agli automobili di piazza,
  che salvano il mondo
  dalla morte totale del sonno!

  Gli automobili di piazza sono belli
  e orgogliosi come le stelle!
  Nemmeno le stelle dormono, ma corrono,
  facendo grandi gesti folli
  per salvare da collisioni fatali
  le prue salienti dei pianeti, che forse
  stanno per investirci a tutto vapore?

  E quella stella sola, laggiù–la vedete?–
  più bianca, dalle braccia più lunghe,
  è tutta affaccendata a sgombrare
  la soglia dell’orizzonte….
  Poi se ne viene a picchiare
  con le sue lunghe dita indiamantate e sonore
  su ogni finestra chiusa, per avvertire,
  per avvertire che arriva la luce
  e che le si devono innalzare
  degli archi di trionfo!
  Guai all’uomo che non balzò sussultando
  fuori dal suo letto, allorquando
  passò, cantando, la stella del mattino!
  Lo giuro in suo nome!…
  Se l’umanità s’addormentasse,
  tutta, improvvisamente, una notte,
  coi suoi nottambuli, i suoi automobili,
  le sue guardie, i suoi cani,
  le sue rondini e i suoi passeri,
  i suoi ruscelli, i suoi fiumi,
  le sue puttane e le sue stelle,
  morrebbe infallibilmente
  alle quattro della mattina!…

  Quando non posso volar via
  col mio monoplano, io percorro la città,
  a notte alta,
  con orde pazze di studenti,
  rompendo tutti i vetri dei pianterreni,
  lanciando nelle finestre aperte
  grosse pietre che s’odono
  poi ruzzolare fragorosamente nell’interno!
  Nulla è più divertente! Ecco, noi prepariamo
  con cura minuziosa il blocco e l’assedio metodico
  d’una casa addormentata….
  Ognuno di noi reca fra le mani grossi sassi
  come se fossero astri carbonizzati….
  Poi, ad un tratto, tutti i vetri della casa
  emettono grida umane
  e lunghi singhiozzi di terrore….

  Talvolta, si svolgono trattative d’armistizio….
  «Portinaio, che ne diresti
  se fracassassi i tuoi vetri?»
  «Oh! no!… Per pietà! Non lo fate!…»
  supplica una voce. «Ebbene, prendi!
  Ecco il nostro sasso sublime, nel tuo vetro infranto,
  per insegnarti a non imputridire
  senza fine, nel tuo letto nero!
  Tu mi dirai che lavori dalla mattina alla sera.
  Noi facciamo altrettanto…. Che vuol dire?»
  Questo non c’impedisce di correre nella notte
  come un incubo enorme,
  per le piazze, vasi sanguigni,
  e per le vie, circonvoluzioni della città,
  grande cranio assopito!
  Bisogna pure che qualcuno si dia la briga
  di rinnovare così lo stupore
  nel cervello degli uomini!

  Come te, noi abbiam lavorato tutto il giorno,
  ma ad onta della stanchezza che ci rompe le gambe,
  continuiamo a lavorare
  diversamente e ancor meglio!
  Poichè bisogna pure che qualcuno s’incarichi
  di dipingere le statue nelle piazze alberate,
  di sostituire all’insegna d’un dentista
  quella imponente d’un avvocato,
  o d’appendere alla porta d’un lupanare,
  che s’affatica ed ànsima,
  il cartello d’un teatro che annunzia: «Riposo»!
  Bisogna pure che qualcuno provveda
  a lanciar nei canali
  le persiane dei pianterreni,
  graziose zattere avventurose
  che vanno forse a ritrovare, lontano,
  lontano, nella campagna,
  le loro radici d’alberi segati
  e a rivedere i loro amici
  d’infanzia vegetale!

  Si calano le brache allo spirito filosofico
  per sculacciarlo come si deve!…
  Che fa quella puttana, col suo sorriso
  come una lenza,
  sull’acqua torbida e pescosa del marciapiede?
  Non si diverte affatto! Per divertirla,
  l’afferriamo gentilmente pei fianchi
  e ce la mettiamo sulle spalle!

  Da una viuzza all’altra, dove si va? Aspettate!
  Alt! Silenzio!… Quella finestra aperta,
  a pianterreno, russa stranamente!
  Soffi di clarinetto, e a quando a quando
  sordi ribollimenti di caldaia….
  Non è altro che la grossa marea notturna
  d’un seno di donna obesa….
  Qui s’infradicia l’inondante borghesia
  clericale e sudante, dalla faccia di sego….
  La chiamano Saggezza, nel rione….
  A teatro, essa lascia grondare dal palco
  le sue due poppe ripugnanti,
  su cui son tatuati questi due sudici nomi:
  «Pudore! Morale!»

  Ora capirete con quali attente precauzioni
  introduciamo la puttana guizzante
  per la finestra aperta….
  Senza far rumore deponiamo cautamente
  il corpo bene aerato
  accanto al grosso corpo costipato….
  Che cosa accadrà?… Chi ci pensa più?…
  Abbiamo altro da fare…. Per esempio?…
  Chi di noi ha del mastice?…
  Ecco una serratura inglese da ostruire….
  Eccone un’altra!…
  E poi ci si nasconde, fondendoci nelle rughe
  della casa dirimpetto,
  ad aspettare il lento piede del borghese che rincasa
  dal teatro, senza affannare
  la sua paziente stupidità!…
  Ah! Ah!… Potrà divertirsi un pezzo
  a stappare la serratura
  con la sua chiave che non serve più!
  Mio Dio! Quante bestemmie e quante
  imprecazioni!… La neve intanto
  gli fiocca sulla schiena
  che tossisce malgrado la costosa pelliccia!…

  Divertitevi, pance ben pensanti!
  Arrivederci fra poco…
  Una carrozza di piazza?… Utilizzabile anch’essa!…
  Si apre e si richiude lo sportello,
  si finge di salutare qualcuno che è dentro,
  e si grida al vetturino: «Alla stazione!»
  E’ semplicissimo: Egli si rimette in cammino
  scarrozzando il vuoto!
  Un campanello?… «Levatrice»…
  «svegliatevi, signora!»
  Si suona ancora…. «Presto! Su! Alzatevi! Correte!…
  La terra ci partorisce! Siamo noi, i neonati!
  Milano sta per mettere al mondo
  un nuovo futurista!»

  Ora gettiamo a terra quest’altra vetrina
  piena di vasi e di cristalli….
  Fragore di valanga, di terremoto!…
  E’ l’ora della ricreazione!
  Passando via, si fracassano coi bastoni
  le vetrate che pensano e guardano….
  Poichè, insomma, rispondeteci,
  chi vi ha dato
  diritto di dormire?… La polizia, siamo noi!
  Polizia del disordine e della libertà!
  A grandi passi si va per le vie riconquistate,
  alta la testa, come re, con la spavalderia
  e la superbia dei capitani vittoriosi. E’ naturale!
  Lo vedete! La Città tutta intera
  sta supina, atterrita davanti a noi!

  Fanciullaggini, dite?
  E altri brontolano: «Vandalismi indecenti!…»
  Per conto mio, mi auguro di morire prima
  d’aver perduto le mie deliziose fanciullaggini
  e i miei cari vandalismi!…
  Io non sarò mai due vecchierelli tremanti,
  un vecchio cuore, un vecchio corpo
  incollati come due cani
  sotto le risate di quelle folli educande
  che sono le stelle!…

  Sia maledetto il giovane che adora il suo letto
  e che non casca dal sonno tutto il giorno
  per aver scatenati i suoi istinti durante la notte
  Sia maledetto il giovane che non è convinto
  di essere diventato, finalmente,
  padrone della città, dopo mezzanotte,
  con tutti i suoi sputacchi lanciati a ventaglio
  sull’ordine carceriere
  e sul sinistro _come-si-deve_ della società!

  O Duomo di Milano! Io ti ho spaventato
  sfiorando con la mia ala di gabbiano
  I tuoi scoscendimenti mostruosi
  di secolare scogliera….
  Io sono, dici, un milanese che va troppo in fretta.
  E’ infatti la tua tenerezza sbigottita
  che colora di giallo e di rosso e di nero
  e di verde e di bianco
  la pelle trasparente delle tue vetrate camaleontiche.
  Sono io che t’irrito, ogni sera, lanciando
  la palla del mio cuore più in alto
  della tua madonnina dorata!

  O piovra smisurata dai tentacoli bianchi,
  tu tremi al sentirti stringersi intorno a te
  la vastissima rete delle rotaie scintillanti
  con tutti i loro tramvai, anelli multicolori
  che la sera s’adornano
  d’alghe verdi e di coralli….
  Tu piangi sulla tua sorte,
  cattedrale arenata in mezzo al chiassoso tumulto
  della più grande stazione del mondo?…
  Ah! ah! Verrà il giorno
  –i Milanesi ne sono capaci!–
  in cui si potrà costruire un treno colossale,
  tratto da una gigantesca locomotiva,
  per riportarti in paradiso,
  d’onde tu fosti spedita, in altri tempi,
  dai Fratelli Gondrand!…

  Odo un immenso clamore
  laggiù, alla punta estrema della città….
  Affrettati, o mio motore, sono gli studenti,
  che in marea rumorosa
  hanno inondata la stazione!
  Cari studenti, scolari d’Italia,
  noi partiremo tutti insieme per le vacanze!
  Vacanze del fuoco, del sangue
  e delle rosse follìe,
  in cui potremo finalmente giocare
  a _foot-ball_ coi nostri cranî pesanti!…
  Io vi raggiungo, sono già, sopra di voi,
  mentre vi urtate brutalmente
  per trovar buoni posti nei vagoni,
  accanto ai finestrini, da cui potrete tirare,
  prima degli altri, sul nemico.
  Oh! perchè non ho
  la vostra bella noncuranza infantile,
  o studenti infornati nei treni militari
  dei quali precipitate il galoppo conquistatore
  con la furia e la follia delle vostre grida
  lunghe, mordendo le reni
  della locomotiva che si squarcia in bianco vapore?

  Vorrei assaporare come voi,
  lentamente, la polpa del paesaggio primaverile,
  che soffre un poco
  dei primi tagli geometrici incisi dal sole….
  Volo seguendo l’abbagliante evasione
  dell’aurea pianura lombarda senza confini….
  Sono vestito del più bel cielo del mondo,
  succinta veste orientale a larghi fiori
  color di turchese ed a rami dorati….
  Ma il mio cuore immelmato si rifiuta alla gioia
  e non so più volare con disinvolta gaiezza!
  Sono forse allucinato?… Le mie orecchie
  percepiscono un fragore di carrozze
  e di carri sulla tela delle mie ali….
  Questo scalpiccìo di passi pesanti
  che s’accanisce dietro di me,
  non esce dal mio petto sgomentato?
  E questi grossi venti balordi
  strideranno ancora per molto tempo
  contro il muro della mia cameretta volante?..
  Non sono dunque solo? Non sono mai solo!
  Il vento rude s’abbatte sulla mia testa
  col calpestìo d’una folla sul marciapiede,
  ed io l’odo dal fondo di una cantina!…

  I venti forti s’appoggiano con le dita
  brutalmente!… Terribile rumore
  di mani invisibili che s’attaccono,
  molli, alla tela delle ali!…
  Altri s’aggrappano alla mia fusoliera….
  Schifosi contatti che mi inorridiscono!…
  Ecco ora la mia esasperazione si comunica
  al mio motore, e comprendo, comprendo
  la nervosità tossicolante e pigra dell’elica….
  So bene che le tue ruote, o mio monoplano,
  si sono impigliate, durante la notte,
  fra i troppo profumati capelli d’una donna….
  Ma questa non è certo una buona ragione
  per tremare come un vile
  davanti alle correnti d’aria,
  che, vispe e birichine, non hanno veramente
  minaccia alcuna di pericolo!

  Le campane, stamane non hanno
  i loro soliti suoni rosati e bagnati di tenerezza….
  Campane di noia e d’amarezza inesprimibile,
  state dunque per frangere sotto i vostri colpi
  il sole, salvadanaio dorato
  i cui soldi aspettati debbon pagare
  regalmente la festa?…
  Il vostro soffrire diffuso disillude il cielo
  e spezza il mio slancio….
  Ma nel cielo danzante della mia anima scomposta,
  ecco splendere fra i pensieri amari
  fuggenti zone di speranza dorata….

  Arrota le tue ascie, o Luce della battaglia,
  e taglia la carne ruvida delle mura,
  e ammucchia le tue colossali fascine di sarmenti,
  per meglio appiccar fuoco
  alle arruffate capigliature dei giardini!

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10.  I COLLARI
  DEL TEMPO E DELLO SPAZIO.

  Ho superato tre treni….
  Quell’altro, all’orizzonte, interminabile e lento,
  coi lunghi anelli dei suoi vagoni-serbatoi
  trasporta vino per l’esercito….
  Ma si berranno meglio a garganella
  tutti i vecchi vini umani
  nella battaglia, formidabile urto scarlatto
  di ottocentomila bottiglie viventi!…
  Ho sete! Ho sete e mi tormenta
  il desiderio di mordere e di picchiare
  instancabilmente sulle ossa, sui nervi,
  sulla carne…. Macella! Macella! Macella!…
  E tu, sole, regolerai
  la cottura dei cadaveri!…
  Sotto di noi, quella stazione
  è veramente la più strana delle cucine,
  affocata, fumante,
  con guizzi azzurri di rotaie-anguilla
  tra i forni e le casseruole
  delle locomotive allineate….
  Le campanelle elettriche hanno intensi ribollimenti
  e gorgoglii di frittura
  nei loro vasi di porcellana….

  Quell’automobile che sembra spazzato via, sulla strada,
  da enormi globi di polvere,
  porta al confine il generale supremo….
  Io son sicuro che i corpi arrotondati
  dei quattro venti che brucian di rabbia
  nei suoi pneumatici
  non scoppieranno prima di stasera!
  Sono al pari di me sottomessi
  alle leggi della vittoria.
  Fa troppo caldo…. E quelle nuvole nascondono
  un sole vile!… Fra poco pioverà!
  Il vento sbatte lungo la fusoliera
  bruscamente, come una porta che si richiuda dietro di me.
  Varco in questo momento la soglia
  del lugubre palazzo del Maltempo!…
  La pioggia sta per presiedere
  alla velocità convergente degli eserciti,
  al passaggio dei fiumi, alla conquista
  delle alture, che bisognerà coronare
  di batterie!…

  Palazzo maestoso del Maltempo,
  dalle grigie mura che fuggono, velate qua e là
  del fumo sinistro d’incensieri invisibili!…
  Io scivolo con angoscia
  sui tuoi profondi tappeti di nebbia violetta,
  supplicando i tuoi fantasmi armati di lampi
  d’esser propizi all’Italia!…

  Oh! guarda!… L’uragano ha destato il mio motore!
  Cento, mille, diecimila chilometri….
  Che m’importa?. Purchè l’elica russi bene
  e il mio carburatore sprizzi con regolarità
  e i miei nervi continuino esattamente
  la sensibilità delle ali e della fusoliera!

  Salgo verso di te, nuvolone decrepito
  dalla faccia color di vinaccia!
  Credi forse di spaventarmi, col tuo turgido naso
  eruttivo, pieno di colline gialle
  e di crateri urlanti?
  Ti salto selvaggiamente nella bocca,
  che si sforma, moltiplicandosi!…
  Nuvole dai cento buchi mutevoli
  mi vedete volare ebbro di gioia,
  balzando nei vostri cerchi
  come un cavallerizzo nel circo del cielo?…

  Eccomi appenna addentato, e già digerito,
  ed evaso, in petardi, dalle budella dell’uragano!…
  Ho il tuono alle calcagna. Venga pure se ciò lo diverte!…
  Con calma, con sicurezza assoluta,
  mi tuffo a nuoto, felice
  d’esser sfiorato dalle più affascinanti
  nubi del cielo,
  belle nubi dalle squame violacee,
  che passano come grandi pesci ciechi
  e che sorridono
  con la bocca spumosa d’oro,
  misteriosamente….
  Ma la voce degli uccelli m’attira ancora più in alto.
  I loro voli e i loro canti trillano e brillano
  sopra di me. Il mio motore ne gode follemente
  ed io lo spingo, e ci pare di filar via tutti e due
  sotto fantastiche pergole da cui pendono e oscillano
  grappoli succosi di suoni
  lunghi, zuccherini e furibondi….

  Quando volgo la testa, vedo lontano lontano
  l’azzurra sciarpa dell’amore
  sfilacciarsi in pallidi lembi
  nel cielo che la furia della mia anima
  eccita e infiamma sempre di più!…

  Città e villaggi, barbieri eleganti e diligenti
  delle montagne e delle pianure,
  avete–non è vero?–ben poco da fare!
  Poichè proprio non val la pena
  di pettinare quel poggio, o d’ammorbidire
  l’acconciatura bionda di quella collina,
  o di rifare la scriminatura di quella vigna!…
  E i boschi lontani non si lagneranno più
  d’esser tanto trascurati da voi,
  dimenticati dai vostri pèttini,
  con le loro capigliature sudicie arruffate.

  Vedo già in sogno, un po’ dappertutto,
  vastissimi campi di battaglia
  che si scamiciano mettendo a nudo
  il petto villoso, sudante,
  della terra scorticata dagli obici,
  danzanti amuleti….
  la terra tatuata di cavalli morti,
  in basso rilievo!…

  La mia velocità spaventosa diverte il paesaggio,
  che bizzarramente si contorce dalla gioia.
  Assisto al valzer travolgente delle colline….
  Le più vicine fanno la danza del ventre….
  Tutti i ruscelli si torcono in chiare risate.

  Salgo, e subito gli alberi diventano cavoli.
  Quella valle vomita a un tratto quattro villaggi.
  Ma quell’altra s’affretta ad ingoiarli!
  Affonderai, bel casale,
  fra poco, ne sono sicuro,
  nell’acqua verde e increspata del tuo bosco….
  Dov’è?… Scomparso! Tuffo improvviso di granchio!

  Per arrestarmi, le città
  levano altissime le loro braccia di pietra….
  e poi svaniscono, rase
  dalla falce azzurra di quel fiume ricurvo!
  Null’altro persiste se non lo schiaffo instancabile
  che il vento dell’elica moltiplica
  senza posa, sulla mia faccia!
  Attraverso un acquazzone in tre secondi….
  Allora il vento si sveste, e m’offre violentemente
  un corpo nudo fremente
  tutto bagnato di sale marino e di lagrime,
  il corpo salato della mia amante
  che stringevo un tempo fra le mie braccia,
  nella cabina dalle pareti di tela, a Pancaldi….
  Oh! la calda ricchezza del suo odore che morde!

  Lussuria, guscio del cuore tartaruga!
  Lussuria! rosea cupula d’un’orrida latrina!
  Sarò io dunque sempre l’orgoglioso _bidet_
  dell’Avventura, falsa cortigiana?…
  Un povero cuore strisciante ai molli suoni d’una voce
  un cagnolino freddoloso fra due calde mammelle?…
  O paesaggi danzanti che sgambettate lontano,
  cessate, cessate d’illudere
  la mia speranza d’infinito!
  Il mio monoplano vola per sempre negli occhi
  di una donna!

  Non vedo io, immensificata
  a mille metri sotto i miei piedi,
  la nudità indolente della mia amica?
  Oh! via!… la lussuria
  ha dunque invischiato il mio spirito?
  Poichè quello che vedo non è altro che il corpo
  immenso e disossato del mare….
  Oh! io diguazzo ancora
  in una biancheria eccitante
  d’immagini femminili….
  Oh! rabbia esasperata!… Bisogna dunque
  che io m’arrampichi fino allo zenit,
  per liberare il mio corpo da queste lumache
  viscose, appiccicaticce:
  orgoglio del sesso colonizzatore,
  inestinguibile sete di tenerezza!
  È detto! Raschierò, scorticherò
  la mia carne, fino al sangue,
  fino allo strangolamento del cuore,
  con le spazzole rudi delle soffianti velocità,
  salendo su per due o trecento chilometri azzurri!…

  Galli dell’orgoglio virile schiavi delle stagioni,
  voi che alzate la zampa
  sulle vostre galline, sui vostri tetti
  e sulle vostre donne domate,
  banderuole giranti alla brezza d’aprile,
  sono dunque incatenato, con voi, senza scampo
  nel sinistro cortile dell’atmosfera?

  Noi fummo cotti a fuoco lento
  nell’utero fetente….
  Chi mai potrebbe lavarci da tanta sozzurra?
  Chi può guarirci dell’incurabile amore?
  Noi non saremo mai i monelli senza cuore
  e senza memoria,
  che sputano dall’alto sui balconi delle donne,
  volando rapidi fuori dalla storia
  e dall’anatomia,
  in vacanza, in vacanza,
  lontano dalla vulva, triste collegio obbligatorio!…

  Io sono l’artista,
  l’essere numeroso e formicolante,
  la rissa pullulante,
  la sera di prima rappresentazione,
  la sala gremita in cui tutti i posti son presi:
  palchi, poltrone e loggione….

  Io non so descrivere la mia sofferenza squisita!…
  sono un bruto rapace,
  ammalato d’eroismo infinito e d’impossibile!
  Sono un Creusot
  che vorrebbe fabbricare dei _fondants_!…
  Pedante virilità del poeta
  sempre in foia del proprio orgoglio!
  Quando saprò io trovare
  abbastanza minuzia e delicatezza
  per poter fare a pezzi il mio Io
  e bendare le mie ferite?

      __Il mio motore.__

  Taci, imbecille! Respira meglio, piuttosto!
  Ti basti uscire da quest’Io pestilenziale
  in cui t’annoi lugubremente,
  e cacciar fuori dai tuoi polmoni
  quest’odore di luna paludosa
  e di cipressi civettuoli!…
  Vuoi che analizzi il tuo più bell’eroismo?
  Acrobatismo d’un marmocchio che vorrebbe star ritto
  sulla rotondità del ventre materno….

  Oh! gli occhi delle donne che guardano gli eroi,
  cui subitamente diventano essenziali!…
  Tu vorresti sfondarli
  ma sono dentro di te!
  O milioni di donne scollacciate….
  gioielli, piume, cappelli
  e milioni d’occhi indistruttibili!…
  L’orgoglio! Ecco il solo nemico da temere,
  ecco il peccato dei peccati!
  Io t’applaudo, ingegnoso Gesù, per avere insultato
  e minacciato del peso crollante del tuo inferno
  l’orgoglio, bestia fetida, invincibile
  tartaruga dal guscio troppo vasto!…
  Orgoglio del sorriso e della letizia,
  orgoglio della miseria e dei singhiozzi,
  orgoglio della sozzurra,
  della stupidità e della morte!

  Dimenticavo! Anche vidi
  lo spaventoso orgoglio d’essere vile
  e di fuggire,
  l’orgoglio di non riuscire, l’orgoglio di non essere,
  l’orgoglio atroce del nulla!
  Commedia fatale!… Pensare è esser giovane!
  O gioventù! feroce unità
  desiderio di concentrare in sè stesso
  le unità del mondo,
  desiderio d’esser scelto,
  l’unico scelto, l’unico amato
  dal popolo infedele delle labbra innamorate!
  Esser giovane vuol dire temer d’invecchiare
  e di cessare di piacere ai fiori e ai frutti!…
  Esser giovane vuol dire temer di cadere
  dalla ribalta del teatro!…

  Teatro? Chi ha detto questa parola?
  Ebbene, sì…. Non sei un teatro tu stesso,
  col tuo milione di Soli spettatori,
  binocoli e raggi puntati
  da tutti i palchi dei tuoi nervi?
  Io t’auguro di morire come una pulce,
  fra due unghie sporche e distratte….

      __La mia voce.__

  Zitto! M’infastidisci!… T’impongo silenzio,
  togliendo l’accensione!…
  Olà! Che cosa fa Sua Santità?
  Certo contempla il suo dio
  che naviga nella barca di Pietro,
  e la pesante immersione del sole,
  enorme remo d’oro massiccio!…

  Ha dunque anche il cielo, al pari di me,
  un desiderio supremo di grazie e di tenerezza?
  Nulla, infatti, che agguagli
  la gioia di viaggiare
  nella soave reazione sentimentale dell’orizzonte,
  che finalmente s’è intenerito,
  lasciando traboccare le sue stelle, fresche lagrime
  lungamente rattenute fra le ciglia delle nubi,
  lagrime gialle, rosse, verdi, perlacee….

  Un’altra ancora sta per spuntare…. Spunta,
  violetta, con una cannonata improvvisa!
  E laggiù, verso l’ovest, oltre i monti….
  Bisogna che io vi giunga in un’ora!…
  E’ necessario! Lo capisci, motore?
  E che m’importa dei venti contrari?
  Lo so: questo papa è ingombrante….
  Ma devo farlo oscillare come un pendolo
  sulla battaglia!

  La mia ombra azzurreggiante corre obliqua
  sulle praterie soleggiate.
  Balza dall’ombra d’una nuvola
  all’ombra d’un’altra, come un ginnasta
  che salti dall’uno all’altro trapezio….

  Sotto i miei piedi, in senso contrario,
  la campagna fugge coprendosi tutta
  d’ immense crepe imbizzarrite….
  Quel villaggio s’inabissa,
  quella città si polverizza,
  mentre, là, quel vallone si slancia a galoppo sfrenato.
  Quella collina gonfia il suo ventre
  poi bruscamente si vuota, e ricostruisce.
  lentamente il proprio scheletro!…

  In modo strano si torce e s’ammucchia il paesaggio,
  poi cade a pezzi, a poco a poco,
  crollando in torrenti di case, in ruscelli di verde,
  interminabilmente, sotto di me, a rovescio….

  Laggiù, il Veneto s’annega
  coi fianchi ignudi dei suoi fiumi carnali
  nella marea crescente dei vapori violetti….
  O Tempo ti sputo in faccia!…
  Tu che sei il più odiato e il più tremendo
  di tutti i nostri nemici!…
  So che la mia velocità e la mia febbre t’irritano!…
  Ed è perciò che accelero il polso del mio motore!
  La rabbia, forse, farà scoppiare il tuo cuore,
  o Tempo, vecchia anitra colossale,
  dall’ali frangiate di fango,
  le cui zacchere enormi intenebrano la città….

  Chi mai ti disse che devo percorrere
  ad ogni costo, ad ogni costo,
  più di cento chilometri, prima di sera?…
  Tu ne approfitti, per corrermi incontro,
  aprendo immensamente le cesoie metodiche
  del tuo becco, ingombro d’un groviglio
  di minuti vivi e di secondi velocissimi….
  vermi, insetti e fetide cavallette
  che tu mastichi precipitosamente.
  O tempo rapace!
  Tu pretendi divorare tutto il tempo
  che ancora mi resta!…
  Che m’importa delle giornate solari, cronometri guasti?
  Io posso raddoppiare il mio orologio
  salendo in cielo, sempre più in alto,
  affinchè il sole mi colpisca ancora gli occhi
  con la sua ora elastica….
  Tu ti sganasci a ridere credendolo morto,
  rovesciato al di là dell’orizzonte
  con un colpo d’ala!
  Ma ha finto di morire…. Lo vedo ancora
  fiammeggiare nello spazio col suo lungo sorriso….
  O Tempo,
  tu credi di poter troncare il mio collo illimitato
  e soffocarmi tra quattro piccoli quarti d’ora
  e fare a pezzi i miei polmoni di pallone!…
  Ah! ah!… Siamo due potenze
  coalizzate dal desiderio di domarti:
  il mio genio caparbio e il mio libero motore!…

  Nessuno osò, prima di me,
  colmare il nero fossato dalle profondità incalcolabili
  che divide il gran regno animale
  dal regno meccanico, tutto velato di fumi!

  Motore, tu sei mio fratello, mio compagno,
  mio alleato, come se fossi
  un buon cavallo da guerra!…
  T’ammiro assai più, fratello perfezionato,
  perchè sai prolungare ogni giorno
  la tua giovinezza, cambiando ad una ad una le tue membra,
  albero eterno dalle inesauribili primavere!
  O Tempo, anitra che diguazzi
  in paludi intessute di cifre,
  ora sappi che l’acciaio di questo fedele motore
  è almeno più vivo della mia carne futurista!

  Come il mio corpo, tu contieni, o Motore,
  cento o duecento popoli di molecole,
  ognuno organizzato da un capo cosciente
  e tutti domati da una Legge, regina
  che impone dovunque
  la sua volontà di coesione,
  da una Legge autonoma
  che pur si fonde col Destino!
  La mia libera volontà può stasera
  sposare nella battaglia il mio destino di morte!
  Essa è identica, dunque,
  alla legge che regge
  questo mio motore vivo!

  E’ perciò che mi slancio, sorvegliando
  la reazione fisico-chimica del mio corpo.
  Il mio motore, intanto, più che mai cosciente,
  fa altrettanto!…
  Bella nuvola lilla, dalla veste di gala,
  fate una riverenza al mio motore!
  Io m’infischio di voi, nuvoloni astiosi
  dal ventre flaccido e giallo….
  Vecchi nuvoloni positivisti, senza ideale,
  m’infischio delle vostre verdi smorfie ironiche!
  O scetticismo desolante di questo cielo senza passione
  che filacciosamente si stira
  con tutte le sue raffinatezze di rosei bagliori,
  senza degnare d’uno sguardo il mio motore!…
  Motore, fratello adorato la cui bellezza m’offende,
  fai bene a sputare sulla dolorosa ebbrezza
  di questa sera dai profumi amari e lamentosi
  e su queste povere voci’d'agonie persistenti
  che la grazia delle stelle ardite e gaie
  non può consolare!…

  O Tempo! Mi scaglierò contro di te,
  e ti spezzerò le ali,
  e romperò la tua voce asmatica d’orologio!
  Chiama pure alla riscossa lo spazio,
  vecchio avoltoio podagroso
  che lascia dietro di sè come striscia di bava
  il bianco nastro delle strade e i grandi archi
  dell’orizzonte, simili a immense lumache
  arrotondate!…
  Tempo! Spazio! Sole divinità padrone del mondo!
  Io mi ribello contro di voi!

  Spazio! Tu mi mettesti intorno al collo,
  come una cavezza,
  questo mutevole orizzonte
  irto di monti, di piani e di città capellute!…
  Tu mi lasciasti, sola libertà,
  la distanza che separa la mia gola palpitante
  dal cerchio chiuso dell’orizzonte….
  Ora io t’impongo–comprendi?–d’allargarlo
  di più, sempre di più, finchè si schianti!

  E tu, esecrabile Tempo, farai altrettanto!
  Tu devi, ti piaccia, allentare
  la strangolante e sinistra cavezza dell’ora….
  dell’ora che segue quella che viviamo
  e che da ogni parte la stringe
  per dominarla meglio e per soffocarla
  uccidendo la mia azione!
  Tempo! Spazio! Che direste
  se bruscamente attraversassi, in dieci secondi,
  l’intervallo che mi divide
  da questo rotondo orizzonte
  che, secondo i vostri calcoli,
  m’aspetta soltanto fra un’ora?…
  Ah! ah! ridete giallo, e sentite tremare
  sotto i vostri piedi geometrici i piedestalli
  della vostra potenza millenaria!

  E’ perchè–cordialmente ve lo confesso–
  il mio motore ha talvolta delle velocità stupefacenti.
  Voi sapete, d’altronde, che tutti i chilometri
  non sono lunghi ugualmente….
  Alcuni sono di trecento, ed altri d’ottocento metri….
  E vi sono delle ore che si slanciano
  mentre altre s’addormentano….
  Tutto ciò manca d’ordine e di precisione!…
  Sappiate che uno spirito forte come il mio
  può dare a un’ora l’ampiezza di una settimana,
  o serrarla nel suo pugno duro,
  come un limone
  da cui colerà soltanto il sugo
  d’un minuscolo quarto d’ora!…
  A forza di desideri e d’attese guardinghe,
  conobbi le segrete serrature
  che chiudono i collari dell’orizzonte e dell’ora.
  Ed ecco: adesso batto la testa
  nei quattro cantoni di questi quattro quarti d’ora
  che m’imprigionano!

  Ma tutt’intorno c’è una cornice assai più grande,
  e assai più elastica….
  E’ la giornata solare.
  Poi, più ampia, la mutevole stagione,
  fragile, infinitamente allungabile….
  guardate! La mia tenace volontà
  e la mia sensibilità,
  collaborando coll’elica
  fanno della velocità una cosa assoluta!…

  Spazio, io ti costringo, volando,
  a mettermi intorno al collo, incessantemente,
  senza riposo, ad ogni istante
  un sempre nuovo orizzonte!…
  Carezze sempre diverse e sempre più cupe!…
  Non è la Via Lattea,
  che m’abbellisce, in questo momento,
  una fulgida collana di perle
  che potrebbe inebbriare
  il collo della mia amica?
  Suvvia! Fa presto! In quale orizzonte
  stai dunque per rinchiudermi!…

  Tempo! Spazio! Sarete sorpassati per forza!
  Spazio! tu perderai, ogni volta,
  un po’ del tempo, tuo amico….
  La mia cavezza è almeno cento volte più larga
  di quella che lega quel treno sorpassato!
  Fra un’ora tu dovrai allungare la mia
  all’infinito!…
  Meglio varrebbe abbandonarla subito!…
  Ecco! E’ già fatto!
  Al diavolo il Tempo e lo Spazio!
  Dieci secondi mi sono bastati
  per giungere al confine!
  Butrio! Palmanova! Vi sento sotto di me
  Quel polverie di fuochi agonizzanti
  è Gorizia o Gradisca…. Volgiamo a destra!
  Sotto le fiere stelle guerriere,
  che vortici! che vortici!
  Cado su una profondità, e bruscamente
  mi sento strappato dal mio sediletto,
  così che me ne vado, a caso, a nuoto,
  a passeggiare sull’ala destra….
  Ma presto m’allungo, di nuovo seduto,
  col naso sulla bussola, ed ascolto….

  Io tolgo l’accensione….
  Silenzio? No!… Quasi!… un funebre e crescente
  scalpiccìo d’eserciti….
  Sono laggiù a trecento metri sotto i miei piedi,
  nell’oceano delle tenebre….
  In cerchio, gli echi, tutt’intorno,
  ricaccian nella loro gola ingombra
  il sordo rotolìo dei cannoni pesanti.

  In quella cupa prateria,
  sul ventre semiaperto d’un carro,
  un nero profilo si china, inzaccherato di rosa
  dalla fiamma d’una candela.
  Un soldato telegrafista,
  chiusa la testa nell’elmo sonoro,
  ascolta parole volanti
  che hanno balzi lunghi più d’un chilometro….
  Scivolo via per un momento, a fianco a fianco
  con una giovane stella filante
  che mi disvela il mare cadendovi dentro,
  gabbiano d’oro che raggiunge
  il proprio riflesso….

  Quel fresco nastro azzurrino è una strada
  larga, lungo la riva….
  Scendo morbidamente
  per non schiacciar contro il suolo il mio papa,
  vecchio pendolo assopito che avevo dimenticato!…
  Egli si desta singhiozzando,
  infarinato come un barile nella polvere,
  mentre trascino il mio monoplano
  sul dolce declivio della spiaggia….

  Finite dunque di lambirmi i piedi,
  onde gementi che venite, piangendo,
  a rannicchiarvi tra gli scogli?…
  La rada guardinga trattiene
  il morbido sciacquio ed il respiro per non svelare
  quell’intenso nocciolo di tenebre
  che spicca sui lucidi inchiostri del mare:
  una torpediniera a fuochi spenti!
  Vasto silenzio, interrotto ad ogni secondo
  dallo sternuto dell’onde sulla ghiaia….
  Quella grotta che tossisce
  per vecchiaia, per angoscia e per noia,
  dorme assai male, stanotte….
  Per me, pregusto già le delizie profonde
  d’un lungo sonno….
  Morire domani? Che importa? Meglio così!
  E dormi anche tu, mio motore!…
  Riposa i tuoi polmoni, facendo grandi sogni
  di velocità…. Io mi stendo nudo,
  supino, nella sabbia,
  e subito le stelle dell’Orsa Maggiore
  mi gridano in cadenza:
  «Buona fortuna! Buona fortuna!»

      __Io.__
      (_con le mani a portavoce_)

  Grazie per la mia patria!… Grazie! Grazie!

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  11.  LA BATTAGLIA DI MONFALCONE
  O LA TOMBA DEI PAPI.

  Avanti! Su! Sono almeno le quattro.
  Il mio spirito è esatto come un cronometro.
  Ma la terra, dalle rotondità infantili,
  comunica con sua madre, la Notte,
  e beve avidamente alla Via Lattea!…

  O Notte, grassa nutrice dalle pesanti carni d’ebano,
  la Terra vagente
  s’attacca spaventata ai tuoi neri capezzoli
  e non rallenta la stretta.
  Ancora questo sorso di stelle fresche e pure,
  prima del coltellaccio sanguinolento del giorno!

  Perchè, perchè strisci così lungo la riva,
  foca sinistra?
  Tu vorresti fuggire affidando la pancia
  a questo mare italiano
  che per primo alza la voce scatenando
  le criniere dei suoi puledri selvaggi….
  Come me tu dovresti abbeverare il tuo volto
  nell’odore verde e folto che spandono l’alghe
  e in tutti i profumi salini che abbondano intorno.
  Io te li offro tutti come un buon cioccolatte….

  Le tue coscie grassoccie rimpiangono le delizie
  delle quattordicimila camere del Vaticano?
  E non pensi forse nostalgicamente
  al tuo medico notturno
  e alla tua poltrona a rotelle pneumatiche?
  Staresti meglio forse nella tua portantina….
  E’ questa l’ora in cui la tua pancia,
  colata giù dal letto, si versava
  nella carrozza dalle soffici molle e dai grassi cavalli
  che t’aspetta ogni mattina
  nel cortile della Pigna!
  E’ questa l’ora in cui pensavi
  alla colazione vicina,
  nell’attraversare gli untuosi giardini del Vaticano….
  E la tua nostalgia
  rievoca la fila degli Svizzeri:
  che di lontano sembrano tante uova _à la coque_,
  tutti grondanti di giallo e di rosso viscoso.
  Ognuno aveva la sua alabarda, mostruosa forchetta!
  Mangiavano, dormivano, quella sera?
  E dov’era la Guardia Nobile? Dove
  la Guardia Palatina?

  Affrettati a controllare i nodi del tuo cilicio,
  poichè partiamo…. Guarda?
  Il mare immenso, gravido,
  s’apre penosamente al sole neonato
  che fa forza col capo.
  Il mio motore lo saluta con un russare di gioia
  offrendogli la sua elica,
  vasta rosa africana
  ebbra d’insetti che flirtano!…

  Attento ai vortici avidi
  che il caldo sta per scavare nello spazio!…
  Nuvole dalle flessibili mani m’impacchettano
  con grazia, in una ovatta ardente
  che tratto tratto mi doccia….
  Io cado a volta a volta sulla mia ala destra,
  poi bruscamente sull’ala sinistra.
  Sono lanciato dal basso in alto, dall’alto in basso….
  Ed ora, a colpi bruschi, correnti d’aria violente
  mi suggono in avanti….
  Abbraccio il mio motore, poi resto per un istante
  ritto sui miei pedali.
  Eccomi ricaduto indietro, a caso,
  in un buco, piombando nella morte!…
  Dov’è il mio cuscino? Ho sentito sulla schiena
  il freddo astratto del vuoto!…
  Avanti! Io filo sulla strada e me ne stacco.
  Non scuotermi così,
  riprendi il tuo calmo oscillare di pendolo.
  Noi dovremo salire molto in alto….
  Fra queste due nuvole bituminose,
  come tra i piloni d’un ponte gigante,
  ecco l’aurora che precipita tutta la colata
  del suo sangue bellicoso!…

      __Lo sbarco dei volontari.__

  Luce cruda di luglio, odori irritanti del mare….
  Tutto balza alla rinfusa,
  con la cannonata improvvisa
  nella rada traboccante di fuoco….
  Gli echi fracassati crollano a pezzi sonori
  interminabilmente….
  Nell’imboccatura tre bastimenti sorgono
  portando ritto alla poppa il tricolore!
  Chi dunque li decàpita?… Decapitati s’avanzano
  seminando intorno i fumaiuoli, gibus inutili,
  e le vele, mantelli…. (Fa tanto caldo!)
  sotto gli obici sibilanti d’un incrociatore austriaco
  che non ha potuto affondarli
  nè sbarrar loro la via….

  Urrà, Garibaldini!… Ben venuti!
  Le vostre rosse camicie fiammeggiano
  col rosso nitrito dei vostri cavalli!
  Gru metalliche, vuotate
  le stive dei bastimenti,
  e date l’imbeccata alle maone!
  La banchina gronda di barili, gocce nere,
  che scoppian rosse, talvolta….
  Ebbrezza delle vendemmie! Folli ubriacature
  delle vittorie prossime!… Le case dei pescatori
  vacillano pel caldo, e sembrano trascinate
  dal peso dell’ombra loro.
  Bizzarramente passeggiano al largo
  quattro pontoni imbottiti di fieno e letame
  che portan cavalli nitrenti.
  Sembrano lembi di praterie strappati
  dalla violenza d’un torrente,
  che vadano alla deriva….

  Sulla spiaggia, più lontano,
  ecco i sanguinolenti macelli,
  vaste zattere violacee e purpuree
  che beccheggiano sotto il peso schiacciante
  ed i flosci sussulti
  delle bestie sventrate che uomini rossi
  stanno squartando
  in mezzo al flusso e riflusso del sangue.
  L’odore caldo e zuccherino inebria
  i cavalli trottanti,
  che somigliano a macchine a vapore….
  Le loro zampe-stantuffi scattan fuori
  alternativamente dalle groppe….
  E tutti volgono il capo verso quei fasci enormi
  di fieno, disposti a piramidi.

  A fra poco il piacere di morire con voi,
  o rossi volontari!
  Ho già in me, nel mio cuore,
  questo porto fremente d’eroismo,
  folto intrico di verghe e di nervi entusiasti,
  estirpato dal petto aperto dell’Aurora!…

  Vedo una torpediniera
  che viene ad ancorarsi
  davanti alla foce muggente del fiume.
  Partorisce un canotto,
  che muove a forti remate verso la spiaggia
  per scandagliare i fondi della strada fluviale.

  Tutto si muove senza rumore
  in quel villaggio…. Andirivieni di milizie grigie:
  è il Genio dell’esercito regolare.
  Ordine e silenzio. Ed io sento soltanto
  stridere le molle dei carretti….
  I contadini attaccano i loro cavalli….
  Ognuno ha la sua provvista d’avena
  ed il suo secchio d’acqua.
  Quelle barche da pesca che beccheggiano
  nella baia dall’acque azzurre
  portano ognuna, in piramide,
  trecento gabbie di polli che gridano troppo.
  E sul ponte d’imbarco,
  ecco il completo equipaggiamento d’un battaglione
  con molti sacchi di grano e molte ceste di frutta….
  Gli automobili dei generali,
  simili a torpediniere avvolte nella nebbia,
  filano via strombettando sulle strade,
  con lunghe scìe di polvere sollevata.

  O lunghe strade gessose, mostruosi serpenti….
  vedo passare pei vostri corpi anellati
  gli automobili ingoiati,
  simili a veloci bocconi che scendano!
  Eccone uno che preme duramente
  quella strada nerastra, simile a un sanguinaccio
  tra le frenetiche dita delle sue ruote,
  per farne sprizzar fuori
  un ripieno di polvere lattiginosa e arricciata.
  La battaglia potrà durare più di tre settimane.
  Per questo si sta preparando
  una gran rete ferrata, come se fosse
  un bel tappeto tessuto d’argento
  disteso sul passaggio
  d’un gran Sultano-Locomotiva!
  Eccolo che s’avanza solennemente
  asmatico e acciaccoso, irritato
  pel ritardo, spingendo innanzi
  la sua grossa pancia puntuta,
  con lunghi e gutturali sputacchi di vapore.

  Ritti sopra i sobbalzi delle loro automobili,
  i soldati del Genio, Petits-Poucets febbricitanti,
  vanno svolgendo in cima alle loro lunghe aste
  i gomitoli di fili telefonici,
  che attaccano a casaccio, qua e là,
  alle siepi, alle rocce,
  ed alle case dei villaggi….

  La campagna, rigata da lunghe file militari,
  come un’immensa lira dalle corde policrome,
  vibra tutta ai pizzicati di mille automobili!…
  Ecco i grandi autocarri
  a grandissimo rendimento.
  Vanno sventrando le vallate
  con le loro ruote di valanga….
  simili a treni ubbriachi deviati per capriccio,
  e si divertono talvolta a inerpicarsi
  strombazzando dall’alto
  il loro schifo pei tunnels.

      __I treni militari.__

  Coll’agilità dei clowns disossati,
  l’esercito mette a contatto la sua fronte
  col suo ventre pesante e col suo deretano,
  seduto, là, lontano, sul confine!
  In grossi ribollimenti di vagoni
  scivolano i treni sulle spirali
  delle strade
  fino al cavo della valle,
  imbuto in cui s’agita e si gonfia
  il vettovagliamento,
  strangolato in quest’ora fuggente!…
  Cinquecento vagoni ogni giorno
  vengono a vuotare la loro pancia
  in più di quattrocentomila bocche
  bruciate dalla polvere
  e dal fuoco volante della battaglia.
  Ognuno ha la sua razione:
  cinquecento grammi di carne.
  Si spazzan via come immondizie i feriti
  fuori dal campo della carneficina.
  Mani veloci d’infermiere ripuliscono
  il letto pazzo che s’incava sotto al malato!…

  Le mie due ali s’appoggiano
  sul maestoso e prolungato muggito
  di quattromila buoi. Più lontano
  il fetore ed i gemiti melati
  di centomila pecore
  soffocano di nausea il mio motore.
  Ruzzolerò io dunque
  tanto lontano dalla battaglia?
  Questo groviglio di corna
  ritte su più di tre chilometri
  è veramente un sinistro tappeto!
  I soldati s’accalcano intorno ai pozzi
  come farfalle intorno alle lampade.
  Ecco i forni del pane.
  Son tende bianche munite di fumaiuoli,
  lumaconi giganteschi dalle corna di fumo….
  Le baracche nerastre dell’intendenza
  stuzzicano le nubi coi loro appetitosi
  fumi di rosticceria….

  Tu guarda, Santo Padre, cogli occhi dello stomaco,
  quell’ufficiale tarchiato, ritto presso la sua tenda!
  E’ il gran capo dei capi di tutti gli eserciti nostri,
  il primo _cordon-bleu_ che cucina la guerra
  fra il sonoro tintinno delle gavette felici!…

  L’Austria è ben lungi dal dominare la costa,
  Ecco infatti trasporti traboccanti
  di cavalleria, i cui nitriti
  e le cui folli criniere sventolanti
  entusiasmano il mare!
  Trecento carri a stanghe all’aria
  sulla banchina infocata
  si offrono loro fervidamente…. Io vorrei
  attaccarvi, piuttosto che cavalli,
  grandi aquile forti!…
  Tutti i cavalli da tiro, tutti i cavalli da soma,
  e anche i muletti, s’impennano inebbriati
  dal possente odor della guerra
  e dalla folleggiante canzone del cannone!

  E’ il cannone, che mi guida…. Ed io volo
  sui torvi scoscendimenti
  d’un paesaggio scarnito e scavato
  dagli aratri tonanti della bora!…
  I miei baffi folleggiano
  al raddoppiar del vento soffiato
  dalla mia elica liberante.
  Ma qual presentimento, qual brusca
  intuizione rilancia verso la riva
  il mio desiderio?…

      __Il massacro dei sottomarini.__

  Esploro il mare che va placandosi
  a mille metri sotto di me e mi rivela
  luminosamente le sue viscere verdi….
  A cinque gomene dalla spiaggia,
  quelle zone di rilucente smeraldo
  sono alti fondi di sabbia.
  Quel bellissimo vello dalle striscie rossastre
  macchiate d’ombra è un ammasso di fuchi.
  Ah! sangue futurista!… Ah! canaglie!…
  Questo temevo!… Ecco i sottomarini!…
  Son due…. Son tre…. I loro manometri
  indican certo sei braccia di profondità….
  Sto a piombo sopra il più grande, magnifico pesce
  febbrilmente amoerrato dalla maglia elastica
  di sontuosi riflessi smeraldo e topazio….
  Tutto distinguo, la cupoletta del chiosco
  e il cofano di prua e quello di poppa.
  Non sono ermeticamente chiusi, poichè
  ne sprizzano a quando a quando vive sorgenti
  di gemme gazose.

  Trecento metri mi separano dal mare….
  Il periscopio dei sottomarini non può
  denunciare la mia presenza….
  Oh! il torcicollo degli ufficiali in vedetta
  sotto le troniere orizzontali!…
  Potrebbero vedermi soltanto
  se salissero alla superficie!…
  Sembrano oziar spensierati, i sottomarini….
  Strana manovra: i due più grandi si sfiorano
  come se stessero per accoppiarsi,
  grandi squali in amore!…
  Ah! ah! ora vedrete!… Ho venti bombe
  ben piene, ed ognuna contiene
  cento chili di melinite!
  Due sole basterebbero a spopolare rapidamente
  un gran lago pescoso.
  Ecco ho premuto un bottone: s’è aperta la botola,
  le mie bombe piombano su di voi!…
  Urrà! Che bel pennacchio! E che fracasso
  tonante che si lacera in sibili di rabbia!…
  Ciclone di vapore e di schiuma schiaffeggiante!
  Il mare s’incava…. Vortici innumerevoli….
  Poi tutto si ricompone…. Guardiamo!…

  Il sottomarino è sventrato. La prua
  affonda a vista d’occhio….
  Oh! che fortuna!…
  Ecco: il secondo sottomarino anch’esso
  s’inchina sempre più…. ferito a morte?
  Ma dov’è la ferita?…
  Vedo, vedo una gran buca
  ornata d’un fascio nero di teste e di braccia!
  E’ il pànico…. Tutti si scagliano
  ferocemente verso un’uscita!…
  La stiva s’empie d’acqua,
  e l’acqua sale rapida….
  sale, allaga il ponte chiuso,
  giunge alla macchina…. La macchina s’arresta.

  Oh! divertente e spaventevole angoscia!
  Gettate, gettate pure tutti i piombi di soccorso!
  Non potrete mai chiudere il portello
  dello scafo sottomarino?…
  L’acqua vi cade sul capo dalla cupola del chiosco.
  Le turbine di poppa rimandano meno acqua
  di quanta ne beve la falla….
  Non vi stancate inutilmente!… Vedete: è semplicissimo!
  Faccio un cerchio nell’acqua con la dinamite,
  e il terzo sottomarino
  verrà a raggiungere gli altri due già morti!…

  Ecco un altro pennacchio abbagliante d’acqua scarlatta.
  Lugubre detonazione nelle budella
  sonore, interminabili del mare….
  Le case della riva son brutalmente lavate
  da tutte le macchie che le insozzano: tetti e finestre!…
  Il terzo pescecane vuoi pagliaccescamente morire….
  Mi mostra il suo culo, fuori dall’acqua,
  grondante, convulso. Tre marinai, un guardamarina
  aggrappati al balconcino del chiosco.
  La prua scomparsa nella sabbia? E’ possibile?
  Ho decapitato il gran pesce…. Il suo collo reciso
  beve golosamente tutto il mare.
  Ma le alghe lo soffocano…. Si riempie
  lentissimamente. S’ode ancora il motore,
  o son piuttosto i ballasts d’acqua russante
  che si dibattono tra i due scafi di ferro….
  Automaticamente l’aria compressa delle stive
  vorrebbe respingerle e far risalire
  a galla il sottomarino.
  E finitela col vostro monotono e stolido gridio!…
  Crepate,
  crepate alfine in silenzio, o pescicani austriaci
  che non avevate il coraggio
  di navigare alla superficie!…
  Uno sputacchio sopra la poppa, prima che affondi!…
  E poi ritorno indietro, involandomi
  verso i chiari ossami dei monti
  che i trapani accaniti della battaglia
  scavano in tondo.

      __La battaglia.__

  Due vaste macchie attirano i miei sguardi.
  S’allargano.
  La più piccola, a sinistra, è rossastra,
  Sembra una pozza di sangue….
  Sono le dense file dei volontari.
  Sul suo fianco sinistro riluce
  un’ampia macchia grigia,
  simile ad una enorme lastra di piombo.
  E’ l’esercito regolare.
  Le masse parallele dei soldati s’avanzano a scatti
  verso le alture rocciose,
  ornata senza posa, da invisibili batterie;
  folli lingue rosse e piume bianche….
  Lassù! Lassù!
  Ecco il fronte strategico dell’esercito austriaco
  sapientemente disposto
  in fondo a questo anfiteatro di monti….
  Dobbiamo attraversare la platea o salire,
  sotto i fuochi, convergenti dei palchi
  che lancian folgori,
  salire su fino all’invisibile palcoscenico
  dal sipario di fumo!…

  Io scorgo a poco a poco nella sua tragica ampiezza
  tutto il mobile oceano della battaglia
  dall’onde maestose, lunghe tre chilometri.
  Ma mentre m’avanzo, lo spettacolo impazza,
  s’imbroglia, si complica….
  Il flusso e riflusso sussultante degli eserciti
  diventa contradittorio….
  Tutto sembra illogico. Perchè quel reggimento
  va così lento?
  Quei soldati neri sembrano scendere
  per un declivio erboso,
  ma s’inerpicano; invece, su per un’erta….
  Quell’altro reggimento, par che fugga. Oh! tutt’altro!
  Gira, semplicemente, intorno ad un ostacolo invisibile….
  Quei fiumi, quei torrenti di fantaccini grigiastri
  dovrebbero comporre un mare azzurro….
  Inesplicabilmente, scompaiono, svaniscono
  in quei crateri minuscoli di vulcano
  disposti in batteria,
  che li assorbono con lunghi singhiozzi
  e poi li sputano e destra e a sinistra!…

  Quei filari di vigne si sbarazzano
  rapidamente di tutta la loro polvere estiva,
  come sotto l’asprezza d’una violenta spazzola.
  E, vicinissimo, un gran bosco
  par calpestato da piedi invisibili.
  Formiche-soldati, cavallette-cavalli
  e grossi topi-cannoni ne escono
  precipitosamente, per stendersi
  più lontano, senza riparo,
  con un’apparente stupidità,
  in quei campi di frumento, che perdono
  tutto l’oro e si coprono di grigio!…

  Sotto i fumi volanti,
  le colline leggiere trotterellano….
  Una roccia impennacchiata
  sembra pavoneggiarsi in parata….
  E quella valle m’irrita
  coi suoi lamentosi muggiti di macello!…

      __La polifonia dei gas e dei piombo.__

  Laggiù si trasloca…. Chi dunque pianta chiodi
  in pareti di legno troppo secco?…
  Pazzi martelli. Innumerevoli picchiotti
  che traforan di colpi le porte.
  Dimenarsi improvviso di danze spagnuole
  sotto un crollante scroscio di nacchere rosee!…
  Son le mitragliatrici dal fragore elegante.
  O rumorose raganelle di lebbrosi ammutinati!
  Giranti inaffiatoi che piovon palle
  su file lunghe di fiori e di frutti eroici!
  Morsi scattanti del tornio sul legno!…
  Son le mitragliatrici dall’assiduo lavoro,
  operaie zelanti che imprimono senza posa
  nell’atmosfera,
  colpi taglienti triangolari
  o a losanga, dagli angoli netti!
  Geometria dei rumori, teoremi fracassanti
  che spezzano a quando a quando
  il russar vitreo e vellutato della mia elica….

  Fucileria lontana: chioccolìo di ghiaia
  sulle spiaggie notturne….
  Fucileria lontana; quacquerare febbrile
  di rane che s’accoppiano al chiaro di luna….
  Fischi di capitani, proiettili sibilanti!…
  Gli echi irritati brontolano di rabbia
  sotto lo scalpitio gigantesco
  degli shrapnels galoppanti.
  I cannoni allineati lungo il padule
  tendono il collo, come coccodrilli,
  bruscamente sussultando e lanciando al cielo,
  con un’enorme scossa,
  i rutilanti spasimi della loro coda formidabile….
  Sono i bellissimi shrapnels!…
  Grovigli d’argentei serpenti che guizzano,
  uscendo flessuosamente
  da riccioli di fumo biondo
  o scoppiando da sacchi di cenere nivea,
  azzurra, e a volta a volta color marrone!…
  Il cielo è tutto squamato di fuochi triangolari.
  I battaglioni lontani sono orgogliosi
  di portare sul capo volanti corone
  di shrapnels esplosi, le cui rosse spine
  di continuo si moltiplicano!…
  Io fiuto con ebbrezza l’odore voluminoso
  e carico di pimento, che la battaglia spande.
  Odor di lana calda e di castagne bruciate.
  Odore di grasso e d’olio, d’orina e d’escrementi
  cotti dal sole, e odore d’aglio insieme.
  Volo a tratti per zone ancora intatte….
  Ecco l’acredine soave e carnale dei fieni.
  Poi tutto si mescola, e la sintesi
  disordinata degl’ingenui fetori.
  e dei mordenti profumi
  mi s’accanisce nella testa e mi sconvolge
  il sangue!…

  E’ quasi mezzogiorno. Il sole si eleva
  come un grande albero d’oro massiccio
  che s’erga sui possenti eserciti intrecciati,
  radici contorte della luce solare!…
  Il sole largamente effonde
  il suo fogliame di splendide nuvole,
  rami d’argento, carichi d’aranci acciecanti!…

  Mi volgo ad esplorare il mare….
  Non si vedono fumi all’orizzonte,
  i cui grandi balconi invetriati
  traboccano di luce.
  Il vento impulsivo e appassionato
  che precipita il mio slancio,
  scatena ribellioni nei golfi, e nelle rade….
  Un folle desiderio mi spinge verso l’immensa battaglia;
  Ma il meccanismo superbo
  della mia nera volontà, attenderà, io lo voglio,
  ancora a lungo
  lo scatto ideale.
  Nessuno m’ha scôrto. Posso scendere un poco….
  E’ bello, è bello, il vasto fronte compatto e massiccio
  del nostro esercito regolare,
  che si spinge avanti con metodiche scosse,
  piastre d’acciaio offerte al laminatoio corrosivo
  delle batterie austriache!…
  Ma tuttavia la battaglia, strangolata,
  senza respiro,
  soffoca….
  nella tenaglia dei monti!…
  Non v’è modo di suddividere le nostre unità,
  o di adottare un ordine sparso!
  Come potremmo utilizzare le innumerevoli
  accidentalità del terreno e tutti i ripari,
  per rannicchiarci o per sgattaiolare?…
  Ci si batte in uno spazio ristretto….
  Maledetto ingombro di gomiti e di fucili.
  S’impacciano l’un l’altro nel far fuoco….
  Chi si scopre è morto!… Tanto peggio!
  Tanto peggio!…
  Bisogna pur conquistare ad ogni costo le alture….
  e presto, e presto, per lasciar posto
  alle masse sbarcate, traboccante marea!…
  Bisogna assolutamente che i trasporti si vuotino!

      __La fonderia bella battaglia.__

  La battaglia mi suggerisce
  la visione d’una fonderia smisurata….
  Quei villaggi fiammeggiano come alti forni!
  Quella cavalleria lanciata a corsa
  par che lavori come un’officina:
  le zampe hanno movimenti di ruote
  sotto gli ordini gridati, cinghie di trasmissione,
  fra tutti gli obici vomitati come volanti,
  dalla mischia fumante, grande caldaia!…

  Nello stampo delle colline, i reggimenti
  arroventati si fondono e si sformano.
  Un battaglione si schiaccia
  come un pezzo di ghisa. Eccolo piatto
  sul suolo, e sussultante.
  Ad un tratto si spezza
  sotto i piloni invisibili degli shrapnels.
  Ed ecco la colata dei fuggiaschi fumanti,
  che si perdono là, nel ribollimento
  di quella cavalleria liquefatta!

  E’ dunque il sole, che esaspera
  la follia della battaglia?
  Poichè in quella fantastica fonderia
  di razze martellate, scoppia la ribellione!
  Tutte le macchine rivoltose
  sembran scagliarsi contro i macchinisti.
  Alcuni son presi fra i denti
  degl’ingranaggi di mitraglia,
  e sminuzzati, sparpagliati a ventaglio.
  I rimbalzi perduti dei martelli che sfuggono
  bastano a diroccare le case d’una città.
  Quel pesante cannone italiano, buon operaio,
  fabbro che sa il suo mestiere,
  con uno sbadiglio, o piuttosto soltanto
  con un buffetto, ha rovesciato già
  tre batterie nemiche, che gli parlavano
  altezzose, come padroni!…

  Ad onta della valanga
  e della cateratta di fuochi fitti,
  l’esercito rosso s’avanza,
  accanitamente
  poichè vuole pel primo dar la scalata
  al palcoscenico di questo teatro di monti!
  Il suo fronte ha l’affannoso andirivieni
  di centomila telai tutti in fiamme.
  E’ seta rossa che arde….
  Braccia intrise di porpora e gesticolanti!
  Gomitoli di soli turbinanti
  entro spole agitate dalla morte!
  Tragico groviglio di tutti i fili
  delle vite tessute insieme!…

  A colpi spessi, tre cannoni garibaldini
  sobbalzanti nella rossa pozzanghera agitata
  dei loro artiglieri
  sventrano l’anfiteatro dei monti,
  che lontano, là giù, crèpita, tuona
  come una cava rabbiosamente scavata
  in un torrido meriggio.
  Le volanti cartuccie del sole
  scoppiano da ogni parte. Esplosione
  d’un reggimento che cade a pezzi
  come un gran masso di marmo
  irritato di luci, congestionato di bianca follia!…
  Quelle truppe austriache ruzzolano
  giù pel declivio,
  come operai che corrano al riparo
  dopo aver posta la mina….
  Ed ecco il vento che ci assale….
  O maledetto vento austriaco,
  carico di polvere, sozzo di putredine e di salnitro!
  Vento abbaiante, ostile,
  credi tu forse di potere acciecare
  questi artiglieri amici del fuoco
  che senza fine lavorano,
  come macchinisti in fondo alle navi,
  per precisare la metodica spazzatura
  delle colline nemiche?….
  Buffa pretesa, il volere arrestare
  il nostro grande esercito rosso!
  O fetido vento d’Austria che hai l’odore
  delle fabbriche di birra,
  ben vedi che più nulla resiste!…
  Tutti gli echi spaventati fracassati e pesti
  vanno a rintanarsi negli angoli delle montagne,
  coi denti alle ginocchia, come vili
  in un ultimo rifugio….
  Credi forse d’atterrirmi, annunciandomi
  che dei rinforzi austriaci stanno per sopraggiungere?
  Lo prevedo, e per questo discendo
  a dominare la retroguardia italiana
  che potrebbe ad un tratto rallentare il suo slancio.
  O soldati d’Italia!
  non vi fermate sotto la pioggia dirotta e la grandine
  gemente dei proiettili!… Avanti dunque!
  Avanti, malgrado le volanti forbici della mitraglia
  e le tenaglie del sole, che alla nuca vi stringono!

  Là, sulle alture austriache,
  i volontari, rossi di camicia e di cuore,
  non sono più che cenci insanguinati,
  stracci vermigli e viventi brandelli
  che soffocan la gola vorace dei cannoni!…
  Turano febbrilmente le falle
  della patria che potrebbe affondare
  lottando contro le fughe ruggenti della morte….
  Altri, forse stanchi, disperati
  di non avere ancora saziate tante bocche
  si scagliano come sublimi spine di pesce,
  nell’avida gola dei pezzi che si strozzano!…
  Quegli obici coscienti non sono rivomitati!…
  Ma la lugubre fame delle batterie
  s’accanisce di nuovo sulla rossa macelleria
  dei Garibaldini,
  buona carne delle battaglie,
  pesto enorme di cadaveri eroici
  nel quale s’impantanerà
  la cavalleria austriaca….

  Il mio volo planato mi trascina
  nel vallone insaziabile che già divorò
  la nostra rossa avanguardia.
  Tremila Garibaldini agonizzanti
  vi fanno risplendere, sempre più
  coi mantici dei loro polmoni,
  le leve del torace e i martelli del cuore
  il nome stridente e lacerante d’Italia,
  sempre più in alto, nel bel cielo della battaglia!…

      __Il roseto garibaldino.__

  Il cielo è divenuto la vivente fornace
  che formano, salendo, le fiamme dei loro occhi!
  Le mie ali s’abbandonano sulla marea
  dei loro rantoli…. Uno mi grida:
  «Abbiam dentro la gola
  una fucina ardente per far nuovi cannoni,
  e nei capaci serbatoi dei nostri polmoni
  abbiam di che gonfiare un dirigibile militare!»

  O bel roseto garibaldino!
  Questa valanga di mitraglia e d’obici monotoni
  che instancabilmente ti graffia e ti gualcisce
  non potrà altro che ringiovanire
  le tue rose appassionate!…
  Ogni morente è un rosaio dai temerarî profumi,
  ogni morente sboccia per l’ultima volta
  nel suo letto spinoso d’angoscia e d’ironia….
  Ogni morente scopre le sue piaghe brucianti
  sotto i lunghi getti parabolici di sangue
  che sprizzano dalle arterie recise….
  Innumerevoli fontane dai getti intrecciati!
  Fontane imporporate da un tramonto dei tropici!…

  O profondità del corpo umano,
  dove quel sangue eroico dai colori incendiarii
  piangeva un tempo malinconicamente
  come un’acqua prigioniera in oscuri canali!
  O sprizzanti arterie, inaffiatoi di follia
  e di vino inebbriante, spiegate
  il bel ventaglio dei vostri getti scarlatti
  sulla bocca contorta di quell’eroe che canta….
  Canta la sua felicità di morire. Ascoltiamo.
  «Ne uccisi cinquanta in due ore! Cinquanta!
  Cinquanta grugni austriaci, fracassati da me!…
  Non dovevo pagare con la morte
  una sì grande fortuna?»
  O shrapnels austriaci, grandi uccelli esplosivi,
  io non temo le uova tonanti
  che su di me lasciate cadere
  nel darmi la caccia!… La vostra voce
  può, tutt’al più, suscitar la rivolta
  nel serraglio degli echi affamati
  che van moltiplicando ruggiti e barriti….
  Tu guarda, Santo Padre,
  le belle goccie rosse che ornano la tua veste!
  fosti ribattezzato dal sangue degli eroi!
  Io ne son tutto grondante!… Le mie ali
  son tutte intrise di un’aurora perenne.

  O mio bel monoplano che rùtili e crèpiti
  come un falò di gioia,
  affrèttati ad appiccare il fuoco del tuo coraggio
  alla seta rosea e triste
  di questo cielo passatista!…

  O soldati d’Italia!
  Bisogna resistere per un’ora, ancora!…
  Fra poco apparirà la squadra!
  Io sono sopra di voi,
  come un faro,
  la cui lente sovrana
  raccoglie i minimi fuochi della paura
  e li trasmuta in grandi proiezioni
  di coraggio.
  Il prisma della mia elica
  e i due vastissimi raggi del mio monoplano
  fermeranno al passaggio quelli fra voi
  che l’angoscia addenta all’epigastro.
  Ho qui tra i piedi delle granate incendiarie….
  Prendete! Le semino sulle vostre calcagna
  perchè mai non possiate indietreggiare!…
  Oh, il vostro stupore mi diverte….
  Non m’avevate dunque visto?…
  E che è mai questo pendolo? Lo saprete più tardi….
  Io sono il cuore battente e folgorante della patria!
  Impugnai tutti i vostri sussulti esitanti
  per disciplinarli e per renderli paralleli,
  così che ora riscoccano avanti!
  come frecce di luce!…
  Io sono il faro della patria!

  Ma che succede? Il nostro esercito rosso
  non potrà dunque mai imporre il silenzio
  ai cannoni austriaci?…
  Ecco moltiplicarsi ad un tratto, sui monti
  le lingue di fuoco e i pennacchi bianchi
  delle nuove batterie!
  E questo lugubre angoscioso ritardo della squadra!
  M’involo più in alto, e salgo su, su, seguendo
  le spirali d’un gran cirro color di rosa.
  A duemila metri trapasso
  un nuvolone di porpora….
  O buon vento d’Italia! Spazza via, tu, le nebbie
  che qua e là nascondono le insenature
  della spiaggia e le lontananze indecifrabili!…
  Sotto i miei piedi, le montagne che guardo
  verticalmente,
  con le lor cime granulose e grondanti
  d’una poltiglia rossastra, sembrano
  colossali grumi di sangue staccati dal sole,
  fantastico gomitolo di cadaveri
  roteante nell’infinito….

  Dove vai, nuvola occidentale,
  che porti a tracolla l’ultimo tuo raggio rosso,
  come un fucile insanguinato,
  e le tue colline purpuree, rigonfie
  come carnieri pieni di selvaggina?…
  Tu mi hai obbedito, buon vento d’Italia….
  Urrà! Urrà! Le nebbie sono spazzate!
  Il mare, tutto il mare raggiante di gioia
  si slancia nei miei occhi e nella mia bocca
  con folli grida azzurre e sbattendomi sulle guancie
  le sue ali freschissime!…

  Io salgo sempre più in alto, da gradino a gradino,
  come si sale una scala gigantesca.
  Non vedo più la linea tenue dell’orizzonte….
  Il mar turchino s’è inalzato
  per unirsi al cielo turchino,
  formando il fondo d’un vaso immenso e liscio
  da cui lentamente io vaporo come un incenso.

      __La squadra italiana.__

  Che vedo? Centuplicate il vostro sforzo, occhi miei!
  Quel lungo e nero corteo di cavallette,
  giù nel cavo della sfera infinita, è la squadra!
  Oh! gioia! mia gioia infantile!
  A due mani dovrei imprigionare il mio cuore
  che adesso, lo giuro, ha soltanto dieci anni!…
  Odo alla mia sinistra, laggiù, le cannonate….
  Forse è in Dalmazia, all’estremità
  di quelle coste i cui echi lontani balbettano
  desolanti e morenti grida d’allarme!…
  La nostra forte squadra mediterranea
  imbottiglia le _dreadnoughts_ austriache
  entro il porto di Pola!…
  Il mare Adriatico, oltre Trieste, è chiuso
  dalla catena dei nostri sottomarini.
  Quella seconda squadra che s’avanza
  verso di noi, deve certo scortare
  trasporti pieni di truppe….
  Ed ecco: tutto il cielo s’annebbia, s’annuvola
  dei loro fumi salenti….
  Io ritorno alla spiaggia, e vedo a poco a poco
  il mare, tutto il mare che s’ingombra di ferro
  Stan lastricando d’oro e d’acciaio turchino
  l’Adriatico in tutta la sua larghezza?…
  Vedo le innumerevoli lastre metalliche
  ancora ritte….

  Oh! strana fioritura di roteanti bandiere
  che coprono l’alberature
  di uno sfarfallìo multicolore!
  Mirabolante assalto di api mostruose
  che vorrebbero suggere fiori
  nei miracolosi giardini solari
  cullati dalle onde!…
  Quasi ne odo il ronzìo che s’allarga
  fra l’odio minaccioso e nero
  delle corazzate, concise, immote e contratte
  come scorpioni colossali e pasciuti….

  Su! Riprendete fiato, soldati d’Italia!
  Nei vostri occhi infocati
  nevicano da lungi bandiere, segnali
  d’una freschezza rosea, azzurra,
  rossa, verde e dorata!
  Nei vostri orecchi assordati
  s’ingolfano clamori di speranza e di gioia
  che giungono dalle coffe della flotta,
  cariche di frutti umani.
  S’aprono questi entusiasticamente,
  sprizzando su noi
  il succo di queste grida vittoriose!…
  Sulle loro scìe lucenti,
  come rotaie, s’avanzano in fila
  le nostre corazzate, formando
  un inverosimile treno d’incubo….
  Ogni vagone è lungo duecento metri,
  e trasporta a fasci fucili smisurati,
  gigantesche tenaglie
  e massi di ferro grandi come case….

  Il formidabile treno delle corazzate si ferma
  con una detonazione,
  spaventevole laccio esattamente lanciato
  sulle alture coronate d’austriaci,
  per strangolare nel suo gran nodo sonoro
  il corpo intero del paesaggio
  che ha per cuore ribollente la battaglia!

  Poi, dolorosamente, il laccio del frastuono
  s’allenta, e lascia libera
  quella preda che non si può sradicare….
  La prima fila, formata di sei _dreadnoughts_,
  diventa un arcipelago imprevisto
  di emergenti vulcani in eruzione!
  Tutta la squadra luccicante al sole
  cosparge lo spazio di terrore e di porpora.
  Io mi cullo a mille metri d’altezza
  sulla torre di prua della nave ammiraglia
  e sto al disopra della casamatta
  di un cannone da _195_.
  Ecco la squadra dei fucilieri e dei cannonieri
  comandata da un guardiamarina,
  Il caricatore apre il pezzo.
  Dietro di lui, i serventi allineati
  portano sulle braccia
  i bossoli di carica,
  fox-terriers indomabili, o monelli terribili!
  Sul ponte, altri bossoli ritti ed ansiosi
  sembra aspettino d’essere sollevati
  come fanciulli, sino alla calda finestra
  da cui si può forar lo spazio con uno sguardo violento!…

  «Quartiermastro cannoniere,
  cannonieri brevettati,
  attenti al tornar delle fiamme!…
  Controllate il manometro!
  Prendete questo sacchetto di sabbia che vi getto….
  Ho potuto segnar sul cartone
  l’alzo preciso dei pezzi….»
  Il mio sacchetto piomba
  nel gigantesco lampo dorato che rotola
  fra schianti d’aria formidabili….
  Oh! gioia di fiutare il fumo asfissiante
  dei gas deleteri!
  Cari obici italiani, che sapete
  accartocciare il blindaggio delle navi da guerra,
  su, lacerate dunque la scintillante
  rilegatura di quei forti metallici, volumi tremendi!
  Urrà! Bene! Io esalto
  la vostra brutale destrezza di mano!
  E vedo già pendere, la,[**sic] sulle alture,
  mostruosi brandelli d’acciaio
  e bizzarri cartocci di rame gualcito.

  La terra e le acque si sono avvolte
  interamente
  in una grande nuvola azzurrina
  che a poco a poco s’annerisce e si lacera.
  Senza riposo, monotone,
  le detonazioni lontane dei cannoni
  sono golosamente mangiate
  dalle più vicine, che aprono sotto di me
  vaste mascelle vibranti,
  d’una larghezza incalcolabile!…

  O perchè mai, Santo Padre,
  ballonzoli così? Pover’uomo!
  Non devi già scacciare mosche!
  Suvvia! a pugni, a calci, scaccia lontano da te
  questi avvoltoi spennati e tragici
  che ti strigliano le guancie colle loro coscie granulose
  e col loro lungo collo rossastro e pelato!

  Io filo via rapidissimamente e li supero…
  Tu devi ringraziarli. Ti hanno forse salvato
  da un lungo sonno mortale, facendoti sostenere
  la parte passatista di Prometeo!…
  Oh! no! che seccatura!…
  Eccoti riaddormentato,
  colla tua solita smorfia di paura
  cretina che ti rimane scolpita
  sulla faccia gonfia…. Somigli
  a quegli scogli clericali accovacciati a fior d’acqua,
  la cui schiuma ha improvvisi spaventi bianchi
  ad ogni obice sibilante….
  Suvvia, svegliati!… Ecco: l’ora è venuta
  di mostrarti al pubblico, o vecchio orso
  sozzo di sangue…. Un po’ di pulizia!
  Spazzola la tua sottana…. Tira fuori
  il tuo rosario; nascondi quel fazzoletto!
  Non pianger più! Cessa di lamentarti!
  So, so, che dei pruriti e dei formicolii
  ti irritano le gambe….
  Ma di ben altro si tratta! Riprendi
  il tuo aspetto di dolce beatitudine!
  Un po’ di compunzione nel tuo sorriso…. Suvvia?
  Attento! Ora discendo
  su quelle alture che celano la ritirata
  delle truppe austriache…. Vi giungeremo
  in tre minuti…. Presto!
  prepara i bei festoni di grasso
  che adornano il tuo mento!…
  Porta alta la tua pancia, come se fosse
  un ostensorio!
  Io ti farò passeggiare al disopra di quelle grandi
  bandiere gialle.

  Finalmente, ecco il forte sinistramente appiattato
  da cui risaliva poc’anzi, rinnovandosi sempre,
  l’albero insradicabile delle esplosioni
  che proiettava lontano i suoi fogliami di piombo.
  La sua cupola d’acciaio, poc’anzi,
  girava su sè stessa, lucendo come un astro
  sotto lo scivolìo accanito degli shrapnels….
  Finalmente ecco il guscio
  della gran tartaruga di ferro
  bitorzoluta e tutta a squame turchine….
  Il forte finge di dormire
  nel suo fossato profondo, buco scavato su misura
  nel fianco della montagna
  che da ogni parte arrotonda lunghe schiene scattanti
  di furibondi gattacci….
  Scoscendimenti, fasciati di ferri puntuti
  e inghirlandati di cespugli di chiodi!
  Mucchi bizzarri d’istrici colossali!….

      __L’esca aerea.__

  Artiglieri austriaci e cattolici,
  so che i vostri cannoni
  hanno almeno la portata di ottomila metri,
  e che si posson puntare a un angolo qualsiasi!
  I loro shrapnels fanno piovere
  una grandine di proiettili,
  tremila almeno, disposti in un cono!…
  Non sparerete, spero, contro di noi….
  Le vostre carezze potrebbero irritare il Pontefice!…
  Scavalco, a volo, rapidamente
  il vostro grande esercito in fuga….
  File innumerevoli di schiene piegate,
  frustate dalla paura, arrestatevi!…
  Reprimi dunque più che puoi le nausee
  del tuo povero stomaco, e riprendi
  la tua aria d’uomo serio….
  Guarda: tutto l’altipiano è selciato,
  bellamente, di faccie accalcate
  che contemplano il cielo.

  Tutto l’esercito, a bocca aperta,
  aspetta il tuo sermone!
  Sermone della montagna, davvero!
  O fraudolento commissario di Cristo,
  dove hai lasciato la tua bella eloquenza?
  Su! bisogna parlare!… Ah! capisco!
  Quella messe di baionette non ti seduce!
  Come sono carini!… Spiegano sotto di noi,
  tese per le quattro cocche,
  le loro gialle bandiere, e ti pregano
  di lanciarti giù a capofitto!
  Non sono già un volontario dell’esercito rosso!
  Altro non sono che un uccello venuto dall’Italia,
  e porto nei miei artigli
  un corvo spaventato che nondimeno potrebbe
  servirvi da amuleto o da veneranda reliquia!…

  Con la sua pancia pesante e le sue zampe ballanti
  lo scambierete senza dubbio,
  per un minuscolo elefante di pelle gonfiata….
  E’ il Papa, vedete?… E’ il vostro Papa….
  Tutti in ginocchio!…
  In ginocchio! In ginocchio!… Voi siete cattolici
  romani ed apostolici!
  Sua Santità, che io faccio dondolare
  sopra le vostre teste, vi darà
  fra poco la santa benedizione.
  Dalle sue mani, la vittoria
  pioverà sull’esercito!
  Scusami, Santo Padre…. La brezza ci scuote!
  Involontariamente beccheggio….
  Immonda e livida razza,
  itterizia della terra!… Non osate
  tirare contro di me!…
  Potreste uccidere Dio! Avanti!
  Ma un po’ in fretta, suvvia!…
  A passo di corsa!… Io volo!
  Arriveremo a Trieste,
  poichè voglio deporre Sua Santità
  sulla più alta torretta
  del castello di Miramare!

  Accelerate ancora il vostro passo di corsa!
  L’esca val bene la vostra fatica!
  E’ un papa, dopo tutto,
  che vien dal cielo e rappresenta Dio,
  Fra voi, vi sono alcune migliaia di bruti
  che lo scambiano semplicemente
  per una grossa salsiccia….
  Saporita, comunque…. E mi vanto
  d’averla rubata io stesso
  nella dispensa fetida del Vaticano!
  Su! Fate presto…. Ben vedo
  che le raffiche della bora scuotono
  e torcono come uno straccio
  tutto l’esercito in marcia.
  Che importa? A passo di corsa!
  Se no, io me la svigno,
  e porterò a Dio il suo vecchio uomo d’affari.
  Voi gridate dalla disperazione,
  come ragazzi desolati d’aver lasciato fuggire
  un bel pallone rosso o un bel cervo volante?…

  Sappiate che in questo momento l’esercito italiano
  sforza il valico che avete abbandonato
  e penetrano in Austria.
  Domani l’esercito rosso
  sarà a Vienna!… Voi rispondete
  annunciandomi con grandi grida di gioia:
  Trieste e Miramare!

  Ebbene, no!… Preferisco
  far scavalcare al Pontefice la contorsione schiumante
  di questo golfo…. Voi avete nel porto
  sei buoni incrociatori, con le macchine
  sotto pressione. Imbarcatevi dunque!…

  Preferisco portare sul mare il vostro Papa.
  Che farebbe, a Miramare?
  Non è già, ch’io mi sappia, un astrologo,
  nè un principe impotente!
  Il Santo Padre è piuttosto
  una specie di Dio,
  un Gèova, un Prometeo, che so io?
  Venite ad ammirarlo
  nel diabolico scompiglio della burrasca!

  Voi mi avete obbedito. Il vostro torrente umano
  ha riempiti gl’incrociatori
  come botti…. Si staccano l’un dopo l’altro,
  temerarî sfidando
  il crollar della pioggia, del vento e della grandine,
  e le scosse di groppa delle centomila giraffe
  colossali e fosforose del mare….

  Sulle scogliere, i violini arrabbiati del vento
  elettrizzano le budella miagolanti della foresta
  coprendo di note più alte l’orchestra
  formidabile del mare….
  Il russare del mio motore si compiace
  a macinare questa lacerante polifonia,
  le cui cadenze fanno il massaggio ai miei muscoli,
  tonificano i miei nervi, e caricano di energia
  gli accumulatori del mio cuore dai lunghi fili….

  Io vi compiango, ufficiali austriaci,
  e compiango
  i vostri incrociatori torturati
  e squartati dai venti!
  Sto a piombo sul vostro triste beccheggio
  nel rapido lustreggìo dei troppo lunghi
  fulgidi coccodrilli del lampo!…
  Ah! non potete dunque star ritti
  sulle vostre tolde oscillanti?…
  Vedo qua e là, sotto i capitomboli della folgore,
  grappoli di facce, dagli sguardi sprizzanti
  imporporati….
  Qua e là, in uno sbadiglio di luce totale,
  il ponte si copre tutto
  di ardenti pupille che mi fissano….

  Ma il gran Mal di mare,
  patrono delle vostre _dreadnoughts_,
  ha imposto ai vostri stomachi un abbondante
  vomito, giù dai parapetti di bordo!…
  Onore a voi, grondaie medioevali,
  che trasformate gl’incrociatori
  in tante cattedrali sradicate
  nel gran vaglio agitato d’un terremoto!
  Tre volte, i lampi miniano
  le vetrate e le cupole delle vostre bandiere.[*dot added]
  La burrasca ha scolpiti
  i vostri lunghi alberi
  come sacri pinnacoli….
  Una raffica di preghiere
  ha fatto mordere il suolo
  ai vostri cannoni umiliati,
  ed ha fiorito il bompresso
  d’una gran croce elettrica!…

  Gradite dunque, ufficiali ed incrociatori,
  i miei complimenti,
  per tutti gli obici illuminanti
  che lanciate a cercarmi nella notte nera!…
  Non è troppo felice, il vostro tiro!
  Via! non così!… Tirate più basso!…
  Ah, ecco! Finalmente! Va già meglio!
  Quest’obice d’oro mi scoppia sul capo,
  e lentamente si scioglie
  inaffiando il cielo di stelle acciecanti….

  Ufficiali austriaci, vomitanti grondaie,
  voi meritate
  che finalmente io lasci cadere
  su voi il Santo Padre,
  fetido sterco nero e greve,
  caldo uscito dal mio sfintere di grande uccello d’Italia!…
  Cercate di riceverne un po’ in bocca…
  Potrete nutrirne l’anima vostra
  fino alla morte
  estrema
  della vostra razza!

  Arrivederci, Santità! Finalmente
  spezzo le tue catene!…
  Ti ho regalato cielo e nuvole
  ed ora ti consacro imperatore dei pesci!…
  Attento! Ti lascio cadere….
  Datti la pena di giunger le mani
  come dovessi pregare
  e fa un bel tuffo!
  Ahi! Che fracasso! Ti sei fatto male?…
  Certo la pancia ti s’è sgonfiata, come una seppia,
  annerendo le onde!

      __I pescicani becchini.__

  Eh, via! Possibile? Il mare rifiuta anch’esso
  d’accoglierti nel suo seno?
  Eppure è qui, proprio in mezzo
  a questo gran lago italiano,
  Adriatico,
  che fu da tempi remoti predisposta
  la grande tomba mobile
  dell’ultimo dei nostri Papi!…
  Ed ecco infatti i tuoi graziosi becchini:
  i pescicani! Accorrono a gara,
  Il più grande, solenne,
  entro la fossa fino a mezzo il corpo
  arrota, due, tre volte su un lampo violetto
  la vecchia zappa intaccata del suo grugno motoso
  sospingendoti a colpi di coda
  nel profondo terreno del mare!…

  Sono leggiero, libero e possente!…
  Son un italiano liberato ad un tratto
  dalla sua zavorra cristiana
  e dai suoi pesanti ceppi cattolici!
  Avanti contro Vienna!… Avanti! Avanti!

  Gli scoppi dei cannoni furibondi mi guidano.
  Fiamme, laggiù, lontano!…
  I nostri due eserciti s’avanzano scavando
  l’orizzonte notturno, sventrando
  le città che tremano smascherate
  dal gran gesto brutale dei nostri riflettori!

  Esercito austriaco sconfitto,
  io ti sento con gioia fuggire spaventosamente
  in un ansare di rosse paure!…

  E voi, Garibaldini, sappiate che vi porto
  nel mio ventre,
  con una calda ebbrezza materna!…
  Io sento scricchiolare i vostri piedi possenti
  per i sentieri coperti delle mie viscere!…
  Distruggere! Bisogna distruggere!
  Distruggere senza fine!…

  I tizzoni delle mie dita bruciano,
  palpitano, crepitano e fumano
  dalla punta,
  rapidamente!…
  Ho dappertutto, sulle tempie, in gola
  i colpi reiterati d’un razzo meccanico
  che darà fuoco, ben presto,
  all’obice del mio corpo!…

  O padre mio, tu che sapesti
  così ben caricarmi d’eroismo
  e d’audacia temeraria, ora vedi
  come io soffro aspettando così,
  lungamente, lungamente,
  l’inebbriante esplosione del mio corpo!…

  Le mie vene son strade
  ingombrate dalle grandi pariglie
  di duecento batterie
  che sboccano improvvisamente
  sulla mia bocca spalancata,
  sulle alture
  dei miei occhi, sull’arco orizzontale
  del mio petto….
  Rapidamente puntate, esse sparano,
  sparano con furore….
  sull’Austria vinta!…

 

      Finito il 29 Novembre 1911
      nelle trincee di Sidi Messri.
      Pubblicato in francese a Parigi
      (Sansot éditeur) 12 Gennaio
      1912.

 

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